GAZA, UN ATTACCO “BENEFICO”? ALLĀH A’ALAM

La breve fase di “tregua” nella Striscia di Gaza ha lasciato spazio per qualche riflessione a “freddo” su quanto accaduto in questi due mesi di terrore, morte e distruzione scatenati dalla furia devastatrice di Amalek, prendendo spunto dal sondaggio promosso da Jihād senza Spada in seguito all’attacco di Ḥamās dello scorso 7 ottobre. La domanda sorge spontanea: l’attacco è stato “benefico” per la “causa” palestinese?

L’85 percento dei fratelli e delle sorelle che hanno risposto al quesito, appartenenti sia alla Ummah “digitale” italiana che internazionale, ha risposto con un secco “No”: un esito sorprendente, che forse rispecchia la prudenza di quanti avrebbero invece optato per il “Sì”, ma hanno preferito non esporsi in tal senso, non partecipando al sondaggio. Altrimenti, è verosimile che le percentuali sarebbero state più equilibrate, sebbene i fratelli e le sorelle che hanno espresso la loro contrarietà verso l’attacco di Ḥamās sarebbero con ogni probabilità rimasti la maggioranza rispetto ai favorevoli, fermatisi al 10 percento. I dubbiosi che si sono rifugiati nel “Non so”, una posizione comunque significativa e ne vedremo meglio la ragione, non hanno superato il 5 percento. 

Sia il “No” che il “Sì” hanno messo d’accordo, per una volta, musulmani di orientamenti diversi, ma le motivazioni di chi ha scelto la prima risposta sono risultate più eterogenee di quelle che hanno indicato la seconda, come è stato possibile dedurre sia dai commenti ai post di disseminazione del sondaggio su Facebook, Instagram e Telegram, che dai messaggi privati ricevuti dal blog sui suoi canali social.

C’è stato infatti il “No” di chi, pur appoggiando la lotta di “Resistenza”, fin dall’inizio ha messo in guardia sull’avventurismo dell’attacco di Ḥamās, preoccupato che si sarebbe risolto semplicemente in una nuova sanguinosa mattanza ai danni degli abitanti di Gaza, senza alcun guadagno reale per la “causa” di liberazione della Palestina. Altri, hanno invece sottolineato lo “sviamento” dei palestinesi che sostengono Ḥamās, alleato dell’Iran e di altre forze sciite, circostanza che non può non portare alla disfatta. “Perché Allāh dovrebbe concedergli la vittoria?”, si chiedono.

Un “No” secco è arrivato anche da quei musulmani che non approvano il ricorso alla “spada”, prediligendo la via di una resistenza pacifica di massa, e non per pacifismo, ma nell’idea che rappresenti il metodo più efficace per sbloccare lo scenario attuale e rivolgerlo concretamente in una direzione più favorevole alla “causa” palestinese.

Nei “Sì” è prevalsa invece la convinzione secondo cui l’attacco del 7 ottobre ha consentito alla “causa” palestinese di tornare al centro dell’attenzione generale, (ri)aprendo gli occhi del mondo sul protrarsi dell’occupazione sionista e sull’inumanità dei metodi efferati che la contraddistinguono. Alla categoria dei supporters appartengono anche alcuni soggetti che non hanno resistito dal condividere le loro interpretazioni del Qur’an, della Sunnah e dell’escatologia islamica in relazione alla guerra in corso, francamente del tutto personali e strampalate, quando non pericolose. Come quelle di chi si ostina a credere che i Talebani starebbero marciando dall’Afghanistan (Khurasan) verso al-Quds allo scopo di soccorrere militarmente i mujahidin palestinesi, rappresentando il famoso esercito con la bandiera nera guidato dal Mahdi… Ripetiamo, è una fake news!

Nel complesso, per i “Sì” la peculiarità ideologica di Ḥamās (Ikhwān al-Muslimūn) e le sue alleanze non proprio ortodosse possono essere accantonate a favore del perseguimento di un obiettivo comune. Ad adottare tale linea sono stati anche utenti da cui ci saremmo aspettati un atteggiamento diverso, poiché di solito estremamente inflessibili verso gli sciiti, khomeinisti e non, così come verso la quasi totalità dei musulmani che considerano apostati (e quindi da takfirizzare). “Tutti i musulmani commettono errori”, affermano riferendosi con inconsueta “misericordia” ad Ḥamās, malgrado l’organizzazione sia patrocinata persino dai regimi tagawith di Turchia e Qatar, oltre che dai rafidah iraniani. Lo “stato anti-islamico” del terrore perde pezzi tra la militanza, una parte della quale è disposta a unire le “spade” con i murtaddin? Chissà che ne pensa il nuovo “califfo”, Abū Hafs al-Hāshimī al-Qurashī…

Restando in tema di alleanze non ortodosse, tra i fautori del “Sì” spiccano quei giovani musulmani che non hanno alcuna remora nello scendere in strada o in piazza “associandosi” a manifestanti targati “falce e martello”. Un’“associazione” di cui avevamo già denunciato i lati oscuri in un precedente articolo e a cui dedicheremo ulteriori approfondimenti ʾInshāʾAllāh.

Dubbiosi come sempre, noi di Jihād senza Spada siamo tra quelli che si iscrivono nella categoria dei “Non so” (pochissimi ma buoni, speriamo). Ecco il perché, prendendo le mosse dal post “a caldo” che abbiamo pubblicato il 9 ottobre sui canali social del blog.

Nel messaggio, pur precisando di non condividere l’ideologia di Ḥamās, abbiamo riconosciuto ed esaltato lo straordinario coraggio dei suoi combattenti, invocando, sulla base dei comuni sentimenti per la Palestina e dell’assoluta islamicità della “questione palestinese”, “l’unità della Ummah” nel sostenere i fratelli e le sorelle della Striscia di Gaza, auspicando che il “glorioso popolo palestinese” possa “trarre dei vantaggi concreti e significativi” dall’attacco compiuto dalla Resistenza. Pertanto, ci siamo schierati “quasi” per il “Sì”. “Quasi” dal momento che, a chiusura dello stesso ragionamento, facciamo un passo di lato, pregando “affinché la vicenda non abbia come epilogo solo la solita mattanza dei palestinesi”. Mattanza facilmente prevedibile che si è puntualmente verificata con proporzioni ben oltre ogni immaginazione, e che dopo qualche giorno di respiro e il rilascio di prigionieri politici palestinesi in cambio degli ostaggi, è ripresa incessantemente sotto i colpi di Amalek, la cui sete di vendetta è ben lontana dall’essersi placata.

Allora, ne è valsa la pena? Porsi questa domanda è legittimo, anzitutto per dare il giusto peso agli oltre 15 mila morti innocenti, in maggioranza bambini e donne, provocati dai bombardamenti sionisti. Sono martiri fī Sabīlillāh? Sicuramente sì e non solo di Amalek, ma della stessa Ḥamās, che considera i palestinesi di Gaza come carne da macello e nulla più, mentre i leader “politici” dell’organizzazione, insieme a figli e mogli, continuano a spassarsela riccamente nel sicuro dei salotti a 5 stelle di Doha, senza che il vento degli aerei sionisti possa spettinargli la barba e i capelli. Non sono degli “ipocriti”?

Inoltre, chiedersi se ne è valsa la pena è legittimo di fronte alle (nuove) macerie che circondano i sopravvissuti (per il momento) ed è legittimo per la terra a nord della Striscia tornata nelle mani dell’occupante, pronto a riprendersi anche la fetta restante di territorio a sud. Netanyahu lo ha detto chiaro e tondo, adducendo motivazioni di sicurezza.

In realtà, la rioccupazione dell’intera Striscia è un suo obiettivo fin dal ritiro del 2005, a cui lui si oppose strenuamente, insieme alla combriccola di fanatici estremisti che lo ha sempre spalleggiato, i quali difficilmente oggi si lasceranno sfuggire l’occasione d’oro che gli si è ripresentata per “ri-colonizzare” quanto avevano in precedenza dovuto lasciare a malincuore. E questo grazie al genio strategico dei generali delle Brigate al-Qassām? Le stesse osannate come brigate “partigiane” antifasciste dai cortei “islamo-marxisti”, dimentichi però delle tragiche conseguenze che l’attacco del 7 ottobre ha avuto per la popolazione di Gaza (e non certo per loro). Come è bello cantare “Bella Ciao” o fare il jihād con le vite degli altri!

Considerazioni queste che ci fanno propendere per il “No”, in risposta alla domanda del sondaggio. D’altro canto, in un quadro evidentemente contradditorio, potrebbe comunque essere presente quel filo sottile di “corda” divina (Sūrat ‘Āli ‘Imrān, 3:103) che rende il tutto giusto e coerente, davvero fī Sabīlillāh. Allora, il sangue dei martiri – che Allāh Ta’ala ne benedica le anime e le accolga al livello più alto del Jannāh – potrebbe essere il seme sulla “via verso al-Quds”, per citare l’Hezbollah libanese, da cui un giorno nascerà finalmente la Palestina liberata e libera. Mentre il loro sacrificio è intanto servito a sventare la definitiva “sionistizzazione” delle terre arabe-musulmane, Mecca e Medina comprese, come evocato da un lettore del blog (si veda l’accordo tra Arabia Saudita e Israele, la cui firma è stata annullata dopo l’attacco del 7 ottobre). È davvero così? Può darsi ed è consolante, ma come averne la certezza? Di qui, il nostro “Non so” conclusivo, condiviso da alcuni utenti rimasti anch’essi nell’indecisione. Allāh A’alam, sicuramente. Noi non possiamo far altro che pregare per la “causa” palestinese e dell’Islām. E che l’Altissimo che tutto conosce del visibile e dell’invisibile ci guidi nel raggiungere una maggiore consapevolezza.

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