LAPIDAZIONE FEMMINILE E CARCERE PER CHI NON INDOSSA L’HIJĀB: L’ESITO DEI SONDAGGI DI JIHĀD SENZA SPADA

La furia distruttrice di Amalek che si è abbattuta sulla Striscia di Gaza ha comprensibilmente assorbito tutte le nostre attenzioni in queste ultime settimane. Mentre sull’account Instagram del blog (@jihadsenzaspada) è in corso un nuovo sondaggio in merito all’attacco del 7 ottobre, non abbiamo dimenticato i due sondaggi promossi in precedenza, riguardanti due questioni in particolare su cui sono state sollevate diverse polemiche che hanno chiamato in causa l’Islām e i musulmani. Nel primo caso, la spinta a consultare la Ummah “digitale” è giunta dall’imam di una moschea di Birmingham, che ha ritenuto fosse opportuno ricordare ai fedeli le modalità corrette per la lapidazione di una donna quale condanna per aver commesso adulterio. Nel secondo, è stata la nuova legge approvata dal parlamento iraniano che prevede l’arresto e il carcere fino a 10 anni per le donne che non indossano l’hijāb o che non lo indossano “correttamente”.

Senza la pretesa di aver svolto un’indagine statistica con tutti i crismi della professionalità, dai sondaggi emerge un quadro comunque indicativo degli orientamenti dei musulmani che animano la rete. Sulla lapidazione femminile, a risultare largamente maggioritario è stato il “Sì” (o “Yes” nella versione in inglese) all’applicazione della pena corporale, risposta fornita sia da uomini che da donne. L’opzione “In alcuni casi Sì” (“In some cases Yes”) preferita da vari utenti equivale in sostanza a una piena risposta affermativa, viste le pochissime circostanze in cui la pena è effettivamente attuabile secondo la sharīʿah.

In conversazioni e scambi di opinioni via messaggio, ci sono stati fratelli e sorelle che hanno voluto sottolineare come la lapidazione non abbia semplicemente una funzione punitiva, ma sia un “deterrente” volto a dissuadere i musulmani dal commettere il peccato di adulterio. Inoltre, hanno rimarcato che la pena è prevista anche per gli uomini, a dimostrazione della natura ugualitaria dell’Islām che lo stesso imam di Birmingham deve aver dimenticato. Una dimenticanza tutt’altro che nuova, vista la scorretta applicazione della sharīʿah che troppo spesso viene fatta ancora oggi in senso vessatorio e violento nei confronti delle donne. Esempi lampanti ce li forniscono i soliti Talebani e il solito Pakistan, dove se una donna viene stuprata rischia di finire in carcere per adulterio, come accade sistematicamente per volontà dei presunti sheikh locali che tengono in ostaggio il paese e sono spesso legati a organizzazioni radicali e terroristiche, come sul blog abbiamo più volte denunciato (ad esempio qui e qui). Non stupisce pertanto che l’imam di Birmingham abbia origini pakistane (al pari di quello che qui da noi sta a Bologna…).

D’altro canto, i “No” alla lapidazione femminile, una minoranza, sono riconducibili al rifiuto morale ed emotivo di accettare il ricorso a una simile pena, considerata una barbara violazione dei “diritti umani”. Una posizione comprensibile, ma che deve fare i conti con il consenso sulla legittimità della lapidazione femminile delle principali scuole giuridiche tradizionali e di quella salafita, scuole a cui fanno riferimento gli utenti che hanno risposto affermativamente. Coloro che hanno ammesso di non sapere (“Non so”), sembrano quindi rimasti incastrati in uno stato di indecisione, tra il rispetto delle dottrine divenute maggioritarie e la sensazione che in esse ci sia qualcosa che non va…

Così come codificato, il Corano di lapidazione non parla, ma nel corso dei secoli è prevalsa l’idea che si tratti di un istituto giuridico legittimo, poiché l’ayah (versetto) nella quale la lapidazione veniva esplicitamente prescritta era parte della versione originaria del testo. Un’argomentazione rafforzata da alcuni aḥādīṯ, non sempre però di indubbia autenticità. C’è poi una serie di storie e storielle che coinvolgono principalmente ʿĀʾisha bint Abī Bakr (ra), ma che sono obiettivamente fantasiose e spesso volutamente tendenziose, inventate shaytanicamente dai nemici dell’Islām in modo da poterlo screditare. È quanto sostenuto da un fratello internauta, stando al quale anche la vicenda relativa all’ayah mancante sarebbe inventata e quindi l’Islam non prevede e non ha mai previsto in alcun modo la lapidazione come pena per l’adulterio. Punto e a capo.

Di fronte a questa varietà di orientamenti, la posizione del blog – che Allah Ta’ala ci perdoni in caso di errore, ma le intenzioni sono buone – è che nella sharīʿah non c’è un’ingiunzione chiara, netta e indiscutibile che prescriva la lapidazione. Si tratta piuttosto dell’incorporazione all’interno del quadro della legge islamica di una prassi ”culturale”, di un uso e di un (mal)costume risalenti a una certa epoca, divenuti parte integrante della dottrina per volontà “umana” e non divina. Pertanto, che l’imam di Birmingham e i suoi seguaci possano finire presto, al più presto, nella pattumiera della storia, ʾIn shāʾ Allāh.

I riscontri sul secondo quesito sono stati invece sorprendentemente quasi unanimi. Al di là di pochissime eccezioni, gli utenti si sono tutti dichiarati contrari alla legge introdotta in Iran, in risposta all’ondata di proteste provocate dall’uccisione della giovane Mahsa Amini. Contrarietà espressa, fatto interessante, anche da coloro che si erano invece detti favorevoli alla lapidazione. Il “No” al carcere per le donne che non indossano l’hijāb o che non lo indossano “correttamente”, segnala allora la prevalenza di un approccio diverso alla hisbah rispetto a quello promosso da mullah iraniani, Talebani, ISIS, al-Qā’idah e da altri elementi deviati che continuano a infestare la Ummah con la loro ottusità (per essere gentili).

Nell’“ordinare il bene e proibire il male” (Sūrat Āl ‘Imrān, 3:104, 110, 114; Sūrat al-A‘rāf, 7:157; Sūrat at-Tawba, 9:71), meglio non cedere alla tentazione della “costrizione” (Sūrat al-Baqara, 2:256) per non ottenere l’opposto di quanto desiderato, come già analizzato sul blog (qui). Piuttosto, occorre mostrare un buon carattere e ricorrere alla persuasione, spiegando le motivazioni religiose alla base dell’hijāb e pregando per ottenere il risultato perseguito, ovvero che il velo venga indossato volontariamente, senza obblighi. Nessuna forzatura da parte di nessuno, che siano i genitori o i parenti, il marito o il governo. Niente insulti e violenza fisica, tantomeno la galera, con l’aggiunta di una buona dose di autocritica per aver fallito nella trasmissione della fede e nell’impartire una buona educazione islamica. Se l’obiettivo non viene raggiunto, a dirimere la questione sarà Allāh il Misericordioso, nonché il Migliore dei Giudici.

Questo è tutto per il resoconto sui sondaggi, per chi credeva con scarsa pazienza che non ne avremmo mai pubblicato gli esiti, e presto ne sottoporremo altri all’attenzione dei fratelli e delle sorelle che vorranno rispondere, dopo aver esaminato prioritariamente quello sulla Palestina. Lo scopo è quello di fornire materiale che ci auguriamo sia utile e interessante per alimentare la riflessione e il dibattito all’interno della Ummah, in tempi storici complicati come quelli che stiamo attraversando. Poi, come sempre, Allāh a’alam.

Un commento

  1. La coercizione, la costrizione etc oltre ad essere contro la fede,spesso sortiscono nausea,disgusto se non rifiuto della Fede

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