Siamo alla vigilia del decennale del raid di Abbotabad, la località del Pakistan passata agli annali per il nascondiglio dove è stato catturato Osama Bin Laden. La “ricorrenza” impone delle profonde riflessioni, sulla scia di quanto già evidenziato in occasione della possibile morte di Ayman Al Zawahiri. La cronaca storico-giornalistica e le analisi degli esperti confermano infatti la loro incapacità di cogliere la prospettiva più appropriata dalla quale l’argomento meriterebbe di essere trattato: ovvero, la prospettiva “religiosa” propria dell’Islām. Una rilettura dei misfatti compiuti dal fondatore di Al Qāʿida alla luce della “Parola Divina” scritta nel Corano, non è la via più consona per prendere in esame la figura notoriamente più simbolica dell’estremismo?
In generale, le prospettive di tipo militare e di sicurezza, politico e geopolitico, sociale e sociologico, sebbene legittime e necessarie, offrono sia singolarmente che nell’insieme un quadro incompleto del fenomeno dell’estremismo, senza oltretutto contribuire alla neutralizzazione delle cosiddette “narrative” che veicolano il processo di radicalizzazione. La prospettiva “religiosa” consente invece non solo di comprendere appieno la natura e la portata del fenomeno, ma d’intervenire nella sua dimensione ideologica per svelare l’inganno della falsificazione dell’Islām insita nel “discorso” estremista, al fine di prevenire e contrastare l’indottrinamento e il reclutamento di nuovi militanti da parte di organizzazioni terroristiche come l’ISIS e Al Qāʿida.
Sotto questo profilo, si potrebbe allora dire che il raid di Abbotabad sia servito davvero a poco, se non a nulla. A 10 anni di distanza, l’uccisione di Bin Laden, il racconto di come si è svolta l’operazione in innumerevoli scritti, le previsioni quotidiane sullo stato di salute di Al Qāʿida e sul corso delle sue travagliate relazioni con l’ISIS, non hanno avuto alcun impatto sulla capacità dell’estremismo, a prescindere da sigle e denominazioni, di continuare ad attrarre in tutto il mondo un numero crescente di “foreign fighters”, aspiranti attentatori suicidi e simpatizzanti, sia uomini che donne, soprattutto nella fascia giovanile, grazie a un “discorso” ideologico capace di rinnovarsi in maniera efficace a seconda delle circostanze e dei mutamenti di scenario, nel perseguimento dei medesimi obiettivi.
In sostanza, Bin Laden è morto, come è caduto il sedicente “Stato Islamico” in Siria e Iraq nel 2018, ma bisogna ancora sconfiggere l’estremismo e per riuscirci analisi e investigazione hanno dimostrato di non essere sufficienti. È sul terreno teologico e dottrinario che va sferrata la contro-offensiva, con le armi che lo stesso Islām mette a disposizione. Basterebbe infatti attingere al patrimonio inestimabile d’“intelligenza spirituale” offerto dal Corano per poter demolire facilmente, colpo su colpo, pezzo dopo pezzo, le costruzioni concettuali mendaci e blasfeme che caratterizzano le “narrative” delle organizzazioni terroristiche, focalizzate in particolar modo su un approccio manipolatorio e distorto alla nozione di Jihād, che riveste una posizione centrale nell’Islām.
Come già osservato, Jihād indica uno “sforzo” proteso verso uno scopo. L’etimologia risale alla radice “ǧ-h-d“, da cui derivano anche altri termini che designano concetti fondamentali nell’Islām e sono correlati a Jihād: mujāhadah, che evoca la battaglia necessaria a raggiungere lo scopo, e ijtihād, l’impegno per un corretto discernimento dei testi sacri che è indispensabile per il proprio perfezionamento spirituale.
Correttamente inteso, il Jihād è pertanto lo “sforzo” di perfezionamento spirituale (scopo) che ogni musulmano è chiamato a intraprendere sulla “Retta Via” (Sūrah “Al Baqara”, 2:108), che lo riconduce ad Allāh (swt) l’Altissimo. Tale “sforzo” può implicare in teoria la necessità del sacrificio ultimo in un conflitto armato, ma è lo stesso Profeta Muhammad (saw) a precisare in un Hadīth che la “battaglia più grande” che il musulmano è chiamato a combattere si svolge nella propria interiorità.
“Il Mujāhid è colui che combatte contro se stesso”, spiega il Profeta (saw), consapevole dell’importanza della distinzione, ribadendo appositamente l’assoluta preminenza del Jihād spirituale, “senza spada”, detto anche “superiore”, e riservando il rango di “minore” al Jihād combattuto in un fronte di guerra che non sia quello interiore: “La battaglia migliore è combattere contro la propria anima e contro le proprie passioni lungo la via di Allāh l’Altissimo”.
D’altro canto, creando il falso mito dei mujāhidīn armati di mitraglia o cinture esplosive, Bin Laden ha fatto sì che il Jihād venisse inteso erroneamente come la “guerra santa” che ogni musulmano avrebbe il dovere di combattere per il trionfo manu militari non certo dell’Islām, ma dell’ideologia malsana propagandata indifferentemente da Al Qāʿida e dall’ISIS, nel cui mirino c’è anzitutto la stragrande maggioranza dei musulmani che rifiuta l’estremismo e le sue manifestazioni terroristiche.
Chi ne beneficia? Chiedere a Iblīs, il Satana nemico di Allāh (swt) di cui Bin Laden ha servito in prima linea l’instancabile opera di sovversione della “rivelazione” trasmessa al Profeta Muhammad (saw) nel mese di Ramadān. Emiro degli “sviati” (Sūrah “Al Fātiha”, 1:7), “sviatore” e “sviato” egli stesso: ancor più di Al Zawahiri, è così che Bin Laden va ricordato per essersi reso strumento d’Iblīs nello “sviamento” dei musulmani dalla “Retta Via” (Sūrah “Al Fātiha”, 1:6) che conduce alla “salvezza”, in favore della “perdizione” (Sūrah “Al Baqara”, 2:16.175.195) rappresentata da violenza e terrorismo.
Sulla base del principio della “responsabilità” individuale per le azioni compiute (“Da parte del vostro Signore vi sono giunti appelli alla lungimiranza. Chi dunque vede chiaro, è a suo vantaggio; chi resta cieco, è a suo danno. Io non sono il vostro custode” − Sūrah “Al An‘ām”, 6:104), Bin Laden pagherà in eterno per aver seminato morte e distruzione in nome dell’Islām (“[Nel Giorno del Giudizio] Se qualcuno pesantemente gravato chiederà aiuto per il carico che porta, nessuno potrà alleggerirlo” − Sūrah “Fātir”, 35:18), in compagnia di Al Zawahiri e del presunto “califfo” dell’ISIS, Abu Bakhr Al Baghdadi, solo per citare i nomi più famigerati (“Riempirò l’Inferno di tutti voi, di te [Iblīs] e di coloro che ti avranno seguito” − Sūrah “Al A‘rāf”, 7:18; “La loro retribuzione sarà l’Inferno, per la loro miscredenza e per essersi burlati dei Miei segni e dei Miei Messaggeri” − Sūrah “Al Kahf”, 18:106).
Da “sviato”, Bin Laden credeva forse di “fare il bene” (Sūrah “Al Kahf”, 18:104), ma ciò non lo esenta dalle proprie responsabilità (“Così Allāh li metterà di fronte alle loro azioni affinché si rammarichino. Non usciranno dal Fuoco” − Sūrah “Al Baqara”, 2:167), per aver avuto gli “occhi velati” di fronte ai “segni” con cui il Misericordioso, il Compassionevole, lo invitava a redimersi, cogliendo l’opportunità di tornare sulla “Retta Via” (Sūrah “Al Fātiha”, 1:6), di risvegliarsi dallo “sviamento” che lo ha indotto a destinare il suo “sforzo” al terrorismo e all’adescamento nella rete d’Iblīs di tanti altri musulmani, allontanati dal percorso di perfezionamento spirituale richiesto da Allāh (swt) per conseguire la “salvezza”.
Così, Bin Laden è diventato più “miscredente” dei “miscredenti” che sosteneva di combattere in nome dell’Islām, un fulgido esempio di ciò che i musulmani NON devono essere e NON devono fare, se intendono conformarsi alla “retta Guida” (Sūrah “Al Baqara”, 2:16) del Corano per realizzare l’“Incontro con Lui” (Sūrah “Al Kahf”, 18:105) durante la propria esistenza, nella consapevolezza che solo coloro che “compiono il bene avranno per dimora i giardini del Paradiso” (Sūrah “Al Kahf”, 18:107).
Non è questa una disamina che stronca efficacemente le false argomentazioni che l’ISIS e Al Qāʿida utilizzano nell’indottrinamento e nel tenere sempre viva la mala-fede dei loro presunti “mujaheddin”, votati alla causa del terrorismo? La prospettiva “religiosa” propria dell’Islām è la chiave di volta per prevenire la radicalizzazione e contrastarla quando è in atto. Occorre pertanto integrarla con le altre prospettive, in un impegno comune e coordinato volto a sconfiggere l’estremismo, gettandolo una volta per tutte nella pattumiera della storia umana, dove già giace Osama Bin Laden.