VIGNETTE E LIBERTÀ DI ESPRESSIONE: UN’OPPORTUNITÀ PER I MUSULMANI DI “PERFEZIONARE” SE STESSI E IL MONDO

Le vignette maledette. Il riferimento naturalmente è alle infauste caricature del Profeta Muhammad (saw) pubblicate dalla rivista Charlie Hedbo, che manifestano i propri effetti perniciosi e destabilizzanti senza apparente soluzione di continuità. Dalla Francia, l’onda lunga si è abbattuta questa volta sul Regno Unito, dov’è in scena una sorta di riedizione del “caso Paty”. Fortunatamente, sembrano esserci i presupposti per un finale diverso, sebbene gli elementi di preoccupazione non manchino.

L’ambientazione è quella di Batley, una cittadina del West Yorkshire, dove un giovane insegnante della Batley Grammar School, mosso da spirito di emulazione, decide di mostrare agli alunni della propria classe − 9 anni di età, tra cui numerosi bambini musulmani − un’immagine del Profeta (saw) tratta da Charlie Hebdo durante l’ora di religione. Il padre di un alunno, da questi informato dell’accaduto, contatta allora il docente, poco più che vent’enne, per ricevere spiegazioni, una musica già sentita: “I valori britannici mi consentono di mostrare una vignetta del Profeta Muhammad ai miei studenti come parte del corso”.

Il corso riguardava precisamente la “blasfemia”, rispetto alla quale l’insegnante, le cui generalità non sono state diffuse per questioni di sicurezza, avrebbe difeso nel corso della telefonata il suo “diritto alla libertà d’espressione” nel mostrare la caricatura. Sull’argomento, “Jihād senza Spada” ha già espresso una posizione chiara e netta:

Se le famigerate vignette sono considerate legittime in virtù della “libertà di espressione”, sulla base della “libertà di espressione” è allora legittimo poter criticare la pubblicazione delle vignette stesse, dal momento che, oltre ad essere gratuitamente insultanti e offensive, sono del tutto inopportune e controproducenti: in tal modo, si offre infatti all’estremismo una scusante per dare sfogo ai propri istinti di violenza e sopraffazione, contribuendo alla propagazione delle narrative e delle interpretazioni distorte e fuorvianti del Corano e degli Hadith che armano, prima ideologicamente e poi materialmente, le mani degli attentatori (da Charlie Hebdo: la via di Allāh (swt) è il dialogo, non il terrorismo, 23 ottobre 2020).

Il docente britannico intendeva discutere con gli alunni “se la colpa fosse del fumettista o dei terroristi” che hanno ucciso per conto dell’ISIS dopo la pubblicazione delle vignette. Qual era il suo obiettivo? Non semplicemente di orientarne la risposta nel senso di una condanna dell’uso della violenza, ma di promuovere la malintesa concezione di “libertà d’espressione” che viene erroneamente e forzatamente associata ai valori britannici, francesi ed europei in generale.

Il docente si è dimostrato incapace di lanciare lo sguardo oltre la barriera ideologica della presunta e cosiddetta “laïcité”, altrimenti sarebbe riuscito a comprendere che l’insistenza nello sbandierare le vignette sul Profeta Muhammad (saw ) non è illuminismo, ma soltanto un abbaglio che oscura ai suoi occhi le gravi responsabilità dei “fumettisti” e dei loro seguaci nell’offrire al terrorismo una nuova occasione per uccidere.

D’altro canto, il ripetersi di simili episodi continua a costituire per i musulmani la principale sfida contemporanea lungo il cammino della fede, come evidenziato da “Jihād senza Spada” in seguito all’”inumana decapitazione” del Prof. Paty, di cui è stata ampiamente illustrata l’assoluta contrarietà ai principi dell’Islam.

Se il sangue dei musulmani viene versato per la falsa “causa” dell’estremismo, nel perseguimento delle sue false prospettive escatologiche, i frutti che ne derivano non possono che essere sgraditi ad Allāh (swt), “il Compassionevole, il Misericordioso”.

Davvero tagliare teste per poi essere uccisi dalla polizia, o trasformare persino bambini e adolescenti in attentatori suicidi, è conforme a quanto richiede Allāh (swt) come “testimonianza di fede” e agli insegnamenti del Profeta (saw)? Potrebbero mai, Allāh (swt) e il Profeta (saw), essere fieri di simili shuhada e dei loro manipolatori al servizio di Iblīs? In realtà, Allāh (swt) ne ha già stabilito le sorti: “Riempirò l’Inferno di tutti voi, di te [Iblīs] e di coloro che ti avranno seguito” (Sūrah “Al A’rāf”, 7:18).

Elevando lo spirito e l’intelletto al di sopra dell’orgoglio, i musulmani possono invece comprendere e vedere nitidamente con i propri occhi, che oggi la grande battaglia da combattere “sulla via di Allāh” (Sūrah “Muhammad”, 47:4) è quella contro i fautori dell’uso della violenza in nome dell’Islam, gli “sviati” caduti nella trappola dell’estremismo, l’altra faccia della medaglia rispetto agli “ignoranti” che insultano il Profeta Muhammad (saw) (da La “shahada” della pace contro l’estremismo, 27 novembre 2020).

Pertanto, il “Jihād” richiesto da Allāh (swt) ai musulmani non contempla in alcun modo la “spada”, la “soluzione facile e immediata fornita da Iblīs”, che soddisfa i “cattivi sentimenti generati dall’orgoglio nel caso di provocazioni e offese”, ma conduce lontano dalla “via di Allāh” per il “perfezionamento spirituale”. Lo “sforzo” a cui Allāh (swt) chiama i musulmani è molto più difficile da compiere ed è quello della wasatia (Sūrah “Al Baqara”, 2:143), l’equilibrio e la moderazione negli atteggiamenti e nelle reazioni prescritti dal Corano.

Armati di wasatia, i musulmani devono intraprendere un ulteriore “sforzo” d’interlocuzione rivolto, da un lato, agli “sviati” – coloro “che ‘hanno scambiato la retta Guida con la perdizione’ (Sūrah ‘Al Baqara’, 2:16), sebbene credano che abbracciare violenza e terrorismo equivalga ad agire per il ‘bene’ del Profeta Muhammad (saw)” −, al fine di renderli “consapevoli della loro condizione di soggiogamento all’inganno di Iblīs, […] incoraggiandoli ad accantonare l’orgoglio per esercitare con gli ‘ignoranti’ la virtù della pazienza”.

Dall’altro, lo “sforzo” va effettuato a beneficio degli “ignoranti” stessi, che sono all’oscuro della “verità” e compiono “il male”, appunto, “per ignoranza” (Sūrah “Al An‘ām”, 6:54). Con gli “ignoranti”, nella cui categoria va iscritto l’insegnante della Batley Grammar School, i musulmani sono chiamati, con “pazienza”, a instaurare un “dialogo costruttivo […], così che possano riconoscere e comprendere con la forza delle argomentazioni e della ragionevolezza l’errore insito nella malintesa idea di ‘libertà di espressione’ alla base della pubblicazione delle vignette offensive sul Profeta (saw)”.

Sotto il profilo dell’aderenza ai principi dell’Islam nel caso scoppiato nello Yorkshire, la comunità musulmana locale ha fatto registrare finora segnali contrastanti. L­’atmosfera “intimidatoria” che avrebbe costretto il docente a nascondersi insieme alla famiglia, riflette il radicalismo di una parte dei dimostranti radunatisi all’esterno dell’edificio scolastico per protestare contro l’accaduto. Non sono state effettuate esplicite minacce di morte e le richieste avanzate non sono andate oltre l’espulsione del docente “affinché quanto si è verificato non si ripeta più”, ma le grida e le imprecazioni nei suoi confronti vanificano all’origine la possibilità d’instaurare il “dibattito costruttivo” che i musulmani hanno il dovere di promuovere.

Al contempo, va dato risalto e merito alla wasatia mostrata dai leader religiosi della moschea, che hanno invocato lo scioglimento della manifestazione. “Stiamo lavorando con i genitori e gli insegnanti, e la scuola è stata gentile verso le parti in causa, sospendendo il docente, dunque non c’è nessun reale motivo per una protesta pacifica fuori la scuola”, ha affermato il portavoce della moschea.

Inoltre, mescolati alla protesta vi erano musulmani che hanno rilasciato dichiarazioni di legittima condanna improntate a moderazione ed equilibrio: ”È inconcepibile che una persona nella posizione di educare dei bambini, la nuova generazione, possa compiere un gesto simile. La scuola è situata in una strada dove è presente una comunità musulmana e perciò serve una cautela ancora maggiore per non urtare i sentimenti di nessuno”.

Tuttavia, nelle pieghe di questa ragionevole argomentazione, esposta davanti alle telecamere da un dimostrante intervistato, è riemerso uno di quei luoghi comuni di cui i musulmani non riescono ancora a realizzare appieno l’ingannevolezza. Senza completare la frase, il dimostrante ha infatti più volte accennato alla “libertà d’espressione come una scusa”. Scusa per cosa? Non c’era in effetti bisogno di precisarlo, poiché nella sua mente risuonava il ritornello “per attaccare l’Islam, per attaccare l’Islām”, marchio di fabbrica dell’estremismo nelle sue svariate conformazioni, insinuatosi ormai stabilmente nella psiche di una porzione significativa dei musulmani non solo in Europa ma ovunque nel mondo.

Qual è l’obiettivo? “Sviare” i credenti dal “Jihād” della wasatia, affinché si generi in loro il “dualismo” necessario a catalizzare il “Jihād con la spada”, alimentato anche mediante la diffusione all’interno della Ummah di un giustificazionismo generalizzato verso gli atroci atti terroristici compiuti in segno di “vendetta” per la pubblicazione delle vignette sul Profeta (saw). “We love Muhammad”, ma le manifestazioni di amore per il Profeta (saw) scoppiate in reazione al governo francese, che ha difeso a sua volta “a spada tratta” il presunto “diritto” a mostrare le caricature, seguono la “Retta Via” del “Jihād” della wasatia o quella del “Jihād con la spada” che conduce alla perdizione? Si tratta di amore autentico, puro, per il Profeta (saw), oppure di “orgoglio” mascherato da buoni sentimenti, che però in fondo legittimano inappropriatamente l’uso della violenza in nome dell’Islam?

“Tenderò loro agguati sulla Tua Retta Via, e li insidierò da davanti e da dietro, da destra e da sinistra” (Sūrah “Al A’rāf”, 7:16-17): è così che opera Iblīs con i suoi shayātīn, nel fare delle vignette uno “strumento” per allontanare i musulmani dalla “Retta Via” della salvezza in Allāh (swt), spingendoli a intraprendere quella sbagliata del terrorismo e del compimento di azioni terribili, che li condurrà alla dannazione (da Charlie Hebdo: la via di Allāh (swt) è il dialogo, non il terrorismo, 23 ottobre 2020).

Su questo i musulmani dovrebbero riflettere approfonditamente, guardando dentro se stessi per comprendere qual è il motore che li spinge. E dopo un esame di coscienza, saranno in molti a scoprire, con loro sorpresa, che il deus ex machina è proprio “Iblīs con i suoi shayātīn. Non occorre imbracciare la spada, neppure indossare un giubbotto esplosivo: basta il pensiero che può arrivare a giustificare persino una decapitazione, con un pizzico di compiacimento per la “vendetta” compiuta.  

In attesa che l’indagine della Batley Grammar School si concluda e che quindi venga presa una decisione definitiva sulle sorti scolastiche dell’insegnante, il dibattito che si è riacceso nel Regno Unito sulla questione delle vignette e della “libertà d’espressione”, offre ai musulmani una nuova opportunità di riflessione interiore, dialogo e impegno nella lotta all’estremismo, ovunque esso si annidi. Un’opportunità per correggere anche la propria rotta, insieme a quella del mondo circostante.

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