La propaganda dell’ISIS e di Al Qāʿida è senza scrupoli e trasforma tutto ciò che tocca in veicolo di morte e distruzione, persino la musica. È il caso dei ‘nashīd’, i canti religiosi tradizionali della cultura arabo-islamica impiegati dalle due organizzazioni terroristiche per finalità del tutto antitetiche a quelle originarie. Con testi tratti o ispirati dal Corano, accompagnati da incantevoli melodie non strumentali, i ‘nashīd’ sono nati per facilitare al credente l’elevazione interiore necessaria ad avvicinarsi il più possibile ad Allāh (swt), lungo il cammino del proprio Jihād spirituale. Nulla a che vedere, pertanto, con la spiritualità ingannatrice dell’ISIS e di Al Qāʿida, che ha piegato anche i ‘nashīd’ al servizio della distorta e guerrafondaia concezione del Jihād con cui continuano ad ammaliare le “menti” e i “cuori” di tanti giovani musulmani, spingendoli a imboccare la via sbagliata del terrorismo e della radicalizzazione.
I FALSI ‘NASHĪD’ DEL TERRORE
L’inquinamento della dimensione “musicale” della spiritualità musulmana operato dall’estremismo ha inizio negli anni ’50 del secolo scorso, quando si fanno largo approcci all’Islām di natura ideologica che strumentalizzano la fede religiosa a scopi politici. I versi dei ‘nashīd’, da poetici ed evocativi di sentimenti di comunione con Allāh (swt) e con il mondo da Lui creato, divengono slogan volti ad alimentare odio e antagonismi, fino all’esaltazione della violenza e degli attentati suicidi.
L’utilizzo sistematico dei ‘nashīd’ come elementi strutturali di quella che i media hanno definito impropriamente “cultura jihadista”, è stato inaugurato da Al Qāʿida sulla scia dell’esperienza afghana. Osama Bin Laden era infatti ben consapevole della loro efficacia nel fare contemporaneamente appello alla ragione (significato) e alle emozioni (melodia), sia nella fase della radicalizzazione, che del consolidamento della “conversione” all’estremismo e dell’induzione a compiere attacchi terroristici.
I ‘nashīd’ prendono così quattro direttrici contenutistiche particolari: vi sono i canti che incoraggiano alla guerra (la maggioranza, con un frequente uso simbolico della “spada”), quelli che glorificano il martirio, altri che vengono pronunciati nelle commemorazioni di militanti rimasti uccisi e infine le lodi ad Allāh (swt), trascinato forzosamente sul campo di una guerra che l’Islām proibisce e aborrisce. Le lodi possono essere estese ai leader terroristi, in una specie di culto della personalità coltivato sotto il manto di una falsa modestia tanto da Bin Laden, quanto da Abu Musab Al Zarqawi, leader qaedista e fondatore del primo presunto “Stato Islamico” in Iraq, e dal fondatore dell’ISIS, Abu Bakr Al Baghdadi.
La formulazione dei testi e la divulgazione dei ‘nashīd’ segue l’evoluzione della tecnologia e della globalizzazione. Alla tendenza a ricorrere prevalentemente all’arabo arcaico – per richiamare i tempi del Profeta Muhammad (saw), marcando le distanze con le società arabo-musulmane contemporanee –, si affianca anno dopo anno l’esigenza di un’internazionalizzazione linguistica che si afferma definitivamente con l’ascesa dell’ISIS. Pur restando scritti principalmente in arabo, i ‘nashīd’ vengono dunque tradotti o elaborati in altre lingue, a riflettere la multi-nazionalità dei militanti e di conseguenza la penetrazione dell’estremismo in svariate aree geografiche: pashtu, urdu, punjabi, dari, saraiki, turco, bosniaco, ma anche inglese, tedesco e olandese.
Internet e la comunicazione digitale ne ha poi moltiplicato esponenzialmente la diffusione attraverso Facebook, Twitter, Youtube, Telegram e i numerosi siti web e forum online estremisti. Non più solo testi e registrazioni audio, ma anche video e filmati, persino suonerie per i telefoni cellulari. Centinaia e centinaia di ‘nashīd’, disponibili anche su piattaforme non apertamente affiliate all’ISIS o ad Al Qāʿida, che li presentano come fossero ‘nashīd’ islamici tradizionali.
Capaci di raggiungere un’audience straordinariamente vasta e di esercitare un enorme impatto psicologico in tempi rapidissimi, molto più di un qualunque contenuto scritto, i ‘nashīd’ hanno svolto un ruolo essenziale nel formare un’identità e una narrativa comune globale attorno all’ISIS e al presunto “Stato Islamico” in Siria e Iraq. Ad essere attratti nella rete della propaganda musicale sono stati innumerevoli militanti e simpatizzanti, soprattutto tra i giovani, linfa vitale per l’organizzazione terroristica, abbagliati dal suo “pensiero forte” e dall’illusione di essere tra i protagonisti di una grande impresa.
GLI INNI DEL PRESUNTO “STATO ISLAMICO”
“Lo Stato Islamico esiste” (Dawlat Al Islam Qamat), così recita il titolo del ‘nashīd’ lanciato nel dicembre 2013 e risultato finora il più popolare tra quelli prodotti dall’Ajnad Media Foundation, la “casa discografica” dell’ISIS stabilita appositamente da Al Baghdadi per la propaganda musicale. Melodia rigorosamente non strumentale, alla voce del “famoso” cantante e militante, Abu Yassir, si accompagna lo scorrere d’immagini e filmati che rappresentano vividamente la violenza di cui l’organizzazione terroristica è capace, malauguratamente convinta che Allāh (swt) ne supporti le brutalità e le efferatezze.

“Mia Ummah, l’alba è apparsa, quindi aspetta la vittoria attesa”, recita il primo verso, come ad aprire la strada all’espansione territoriale che nel giugno dell’anno successivo porterà alla dichiarazione di nascita del “califfato” del terrore in territorio siriano e iracheno. Il ‘nashīd’ ha fatto da colonna sonora a quella che dall’ISIS è stata dipinta come un’epopea, al punto da essere considerato come l’inno non ufficiale del presunto “Stato Islamico” e “la canzone più influente” del 2014 a livello mondiale, con centinaia di migliaia di “click” e “like”. Grazie a una musicalità particolarmente intensa e incantatrice, le parole in arabo non hanno infatti rappresentato una barriera all’ascolto al di fuori di Medio Oriente e Nord Africa.
A fare da sottofondo c’è il suono di una “spada” che viene estratta, di stivali che marciano e di spari intermittenti. Il leit motiv è l’incitamento alla guerra, ma il testo racchiude in generale i vari temi ricorrenti nei ‘nashīd’ estremisti, come il riferimento al martirio e al “sangue dei giusti”, all’eroismo in battaglia che assicura la vittoria della Ummah, la gloria eterna e l’immortalità.
Altro ‘nashīd’ che ha conseguito grande successo è stato lo “Scontro di Spade”, il quarto di una serie di video prodotti sempre dall’Ajnad Media Foundation, in corrispondenza dell’inizio dell’avanzata che avrebbe condotto l’ISIS alla presa di Raqqa e Mosul. L’armonia del canto di Abu Yassir suscita nell’ascoltatore calma e pace interiore; un’esperienza spirituale che va ad intrecciarsi con parole che celebrano guerra e massacri, nonché immagini e filmati raffiguranti battaglie, armi, esecuzioni e crimini d’ogni sorta.
La registrazione dei soldati iracheni che scavano le proprie tombe è associata al seguente verso: “La bandiera ci ha chiamati per illuminare il cammino del destino, per fare la guerra al nemico. Chiunque di noi muore, in sacrificio per la difesa, godrà l’eternità in paradiso”. Mentre il verso che recita “il cammino del combattimento è il cammino della vita”, perpetua l’errore fatale dei “teologi” dell’ISIS e di Al Qāʿida, che continuano a introdurre nel cammino del Jihād spirituale per il perfezionamento interiore l’elemento estraneo della sopraffazione cruenta di tutto ciò che non corrisponde alla visione politico-ideologica dell’estremismo.
La fabbrica dell’Ajnad Media Foundation ha prodotto numerosi altri ‘nashīd’ originali, tra cui quelli che hanno salutato la macabra uccisione del pilota giordano, Moaz Al Kasasbeh, avvenuta nel gennaio 2015, nonché gli attacchi terroristici di Parigi, sempre nel gennaio 2015 e il novembre successivo, e di Bruxelles nel marzo 2016. “Per distruggerti, la mia spada è stata affilata. Abbiamo marciato di notte, per tagliare e massacrare. Abbiamo riempito le strade di sangue rosso, con l’oscurità delle baionette”, proclama il canto inneggiante alla terribile morte inflitta ad Al Kasasbeh. Sarcastico è invece il titolo del ‘nashīd’ dopo gli attentati multipli nella capitale belga: “Par Amour”, in esaltazione dell’idea del martirio.
Parallelamente al “lavoro” svolto dall’Ajnad Media Foundation, militanti e simpatizzanti dell’ISIS hanno realizzato video amatoriali dove sono stati riutilizzati “vecchi” ‘nashīd’ della “scuola” estremista, per toni e contenuti del tutto simili a quelli di più recente fattura. Eccone alcuni versi significativi, che ben si attagliano allo stile dell’ISIS:
Con il nostro jihād polverizziamo rocce e strappiamo ad uno ad uno gli arti di tiranni e infedeli.
Mobilitiamo emozioni e pensieri. Con il nostro sangue coloreremo l’alba.
Affronta gli infedeli, coloro che abitano nel fuoco dell’inferno.
Come tutto ciò potrebbe godere del supporto di Allāh (swt) e avere qualsivoglia corrispondenza con il messaggio veicolato all’umanità attraverso il suo ultimo Profeta Muhammad (saw)?
I VERI ‘NASHĪD’ VINCERANNO SULL’ESTREMISMO
I ‘nashīd’ sono la massima espressione dell’esaltazione e del trionfalismo che hanno caratterizzato la breve, ma tragica e disumana esperienza del presunto “Stato Islamico”, di cui hanno segnato momenti cruciali come cerimonie pubbliche, parate militari, eventi di proselitismo e campagne di reclutamento. Con la caduta del “califfato” del terrore, la produzione di ‘nashīd’ da parte dell’Ajnad Media Foundation ha subito un’inflessione, risentendo direttamente del cambiamento di approccio strategico effettuato dall’ISIS.
Il ripiegamento operato da Al Baghdadi sulla guerriglia di “logoramento fino alla resurrezione” è un implicito riconoscimento dell’improbabilità di ricostituire una nuova entità territoriale, quanto meno nel lungo periodo prevedibile. Ma “Il mio Stato rimane”, recita un ‘nashīd’ del giugno 2017, quando la sconfitta non era ancora definitiva. “Non sta svanendo, il suo percorso non verrà eliminato”, prosegue in un moto d’orgoglio che si ripete con il ‘nashīd’ del novembre successivo, intitolato “Il mio Stato è imbattibile”, ad indicare che la sconfitta sul campo non può tradursi in una sconfitta sul piano ideologico perché l’essenza del “califfato” del terrore è eterna.
Questa essenza viene ribadita in un ‘nashīd’ del febbraio 2018, il primo a non fare riferimento alla realtà storica del momento, come se la sconfitta fosse ormai un dato di fatto da archiviare per dare inizio a una nuova fase. Il punto di ripartenza individuato è però lo stesso dal quale l’organizzazione terroristica ha preso originariamente le mosse. Si tratta, lo dice chiaramente il titolo, de “La bandiera del Tawhīd”, il drappo nero che contiene la Shahādah (“Non c’è altro dio se non Allāh”), la testimonianza di fede dei musulmani nel principio dell’“unicità di Dio”, che i “teologi” dell’ISIS, come di Al Qāʿida, interpretano in senso restrittivo, escludendo dal novero dei “credenti”, oltre ai non-musulmani, la stragrande maggioranza dei musulmani che non abbraccia la visione distorta e manipolatoria dell’Islām fatta propria dall’estremismo.
Il ridimensionamento subito dal punto di vista delle capacità militari è stato considerevole, ma l’ISIS è ancora vivo e, secondo la sua narrativa, lo sarà sempre, fino alla fine dei tempi. La guerra continua e i miliziani che sono scappati, trovando rifugio persino in territori considerati dimora degli “infedeli”, hanno meritato un ‘nashīd’ di rimprovero, poiché costoro, nello “Stato Islamico”, “erano liberi”. L’attenzione principale dell’Ajnad Media Foundation si rivolge comunque ai militanti ancora in prima linea, di cui viene rinvigorita la motivazione nel ‘nashīd’ “Oh cuori di ferro”, che parla di “anime come montagne” e “vulcani ardenti, tra i campi di combattimento”.
La necessità di reclutare nuovi seguaci, meglio se giovani, invogliandoli ad entrare nei ranghi dell’ISIS, spinge alla produzione del ‘nashīd’ intitolato “Questa fratellanza”, dove propagandisticamente viene mostrata un’immagine egualitaria ed inclusiva del gruppo, nemico delle discriminazioni:
Questo è mio fratello di origine non araba,
Questo è mio fratello di origine araba,
Spalla a spalla nelle guerre.
In un mutato scenario strategico, i ‘nashīd’ restano pertanto strumenti fondamentali a disposizione dell’ISIS, e ciò vale anche per la propaganda e la radicalizzazione in Europa. Nei telefoni cellulari, nei computer e in altri dispositivi appartenenti a militanti arrestati dalle forze di sicurezza, vengono regolarmente rinvenuti audio e video di ‘nashīd’ che incitano all’annientamento del nemico e ad unirsi all’organizzazione terroristica, come accaduto di recente in Italia, a Milano, con la carcerazione del giovane Nicola Ferrari, divenuto egli stesso un radicalizzatore al servizio dell’ISIS.
D’altro canto, i ‘nashīd’ autentici, anche in lingue diverse dall’arabo, non intendono cedere il passo agli abusi dell’estremismo e restano parte della spiritualità e della cultura tradizionale che promanano dal vero Islām. Poeti e musicisti dedicano la loro vocazione a questa forma artistica, che accompagna la vita quotidiana di miliardi di musulmani in tutto il mondo. I ‘nashīd’ veicolano un messaggio di pace universale, in conformità con lo spirito e il dettato del Corano e degli Hadīth del Profeta Muhammad (saw). I musulmani che hanno deviato dal Jihād spirituale per imbracciare la “spada” resteranno molto delusi quando di fronte ad Allāh (swt) si accorgeranno di aver sbagliato completamente strada.
Un soffio di pace si muove attraverso la terra,
Una parola di speranza, una chiamata per ogni uomo e donna,
Una luce fino alla fine dei tempi, questo è l’Islām.
Allāh (swt) correrà sicuramente da noi se tendiamo la mano, ma lo abbiamo capito?