Se il terrorismo dell’ISIS e di Al Qāʿida sta lentamente, e speriamo inesorabilmente, allentando la sua morsa sullo Sham, un nuovo pericolo emerge dal nord della Siria. I fratelli siriani, esausti da 10 anni di lotte e combattimenti non ancora conclusi, sono infatti indotti da chi dovrebbe sostenerli e proteggerli ‒ la Turchia di Erdoğan ‒ a lasciare la propria terra e ad abbandonare la causa per la quale hanno sacrificato anni di vita ‒ la resistenza al regime di Assad ‒, per imbracciare le armi in regioni lontane, sulla base degli interessi particolari di Ankara che nulla hanno a che vedere con la difesa dell’Islām.
Sono stati finora decine di migliaia i combattenti, giovani soprattutto, che la Turchia ha dirottato in Libia dalle provincie di Idlib e Aleppo, per combattere a sostegno del governo di Tripoli nel conflitto con il generale Haftar. Uomini spinti a partire dalla povertà dilagante in cambio di denaro, con il quale far fronte alle difficoltà economiche delle famiglie.
Il fenomeno non poteva non scatenare la reazione dei gruppi armati anti-Assad in Siria, che con il deflusso di un numero così alto di miliziani hanno visto i propri ranghi assottigliarsi, senza la possibilità di reclutare nuove leve per rimpiazzare le perdite subite e proseguire le ostilità contro il regime di Assad. L’opposizione alle politiche mercenarie di Erdoğan è riuscita persino a riavvicinare l’ISIS e al Qāʿida, che dopo anni di rivalità hanno lanciato un messaggio congiunto contro il tradimento del jihād, che – paradosso nei paradossi della Siria degli ultimi anni – proviene proprio da quelle fazioni che più hanno tradito la Siria e la sua libertà.
In un comunicato fatto circolare su Telegram e firmato da Abu Ibrahim Al Hashimi Al Qurashi, successore di Abu Bakr Al Baghdadi quale sedicente “califfo”, e Abu Mohammad Al Jolani, leader di Hayat Tahrir Al Sham (HTS), già Jabhat Al Nusra e affiliato ad Al Qāʿida, Erdoğan è stato accusato apertamente di aver “tradito il jihād in Siria barattandolo con il petrolio della Libia”.
Il comunicato è stato diramato all’inizio del mese di luglio, dopo un incontro a Idlib tra Al Jolani ed emissari inviati da Al Hashimi Al Qurashi. A Erdoğan viene intimato di “interrompere le trattative con i nemici dell’Islām [Assad, Russia, Iran, Stati Uniti, ndr] per il proprio tornaconto personale”, e di “garantire nuovamente pieno supporto ai mujāhidīn con denaro, armi e rifornimenti”.
La convinzione è che Erdoğan stia difendendo Idlib “solo a parole”, poiché “di fatto è già d’accordo con Assad, Khamenei e Putin, con il quale si sta spartendo la Libia”. È per questa ragione che il presidente turco “non ha fermato né l’avanzata via terra dell’infedele Assad, né i suoi bombardamenti”.
Tuttavia, Erdoğan avrebbe ancora “la possibilità di dimostrare di essere un vero musulmano appoggiando nuovamente il jihād in Siria e smettendola di trasformare i fratelli siriani in nuovi farfan”, al soldo di Ankara con riferimento ai mercenari cristiani che nel passato della storia islamica combatterono in Nord Africa al servizio di dinastie musulmane che si contendevano il controllo dell’area. Altrimenti, minaccia perentoriamente il comunicato, “per la Turchia ci saranno severe conseguenze da pagare, a cominciare dalle truppe schierate nel nord della Siria”.
Infine, il comunicato si rivolge direttamente ai “fratelli siriani divenuti mercenari di Erdoğan”: “Pensate ai musulmani che continuano a morire a Idlib e Hareem e Jisr ash-Shugur. Tornate per continuare a combattere l’infedele, penseremo noi a garantire la sopravvivenza delle vostre famiglie. Non diventate anche voi dei ‘traditori’ del jihād”. Un appello che sembra volto soprattutto a prevenire nuove defezioni, sia attraverso la minaccia implicita di rappresaglie nei confronti dei “traditori”, una volta tornati in Siria dalla Libia, e delle rispettive famiglie, che attraverso l’enfasi posta sull’identità musulmana e sugli aspetti ideologici, risuonata con forza tra i giovani che ancora non lasciano la Siria.
Il risultato è stato l’incremento dei reclutamenti da parte dell’ISIS e di HTS, ma anche di altri gruppi anti-Assad tutt’altro che moderati, registrato nelle ultime settimane.
In conclusione, sia da amico che da nemico, Erdoğan continua con le sue politiche ad alimentare le fazioni più oltranziste dell’opposizione anti-Assad in Siria. Mentre i giovani siriani restano intrappolati in un vortice di guerra ed estremismo, la cui fine è ancora lontana dall’arrivare.