La risposta dei musulmani all’interrogativo posto dal titolo di questo articolo non può che essere un secco ed inequivocabile “NO”, senza se e senza ma… Eppure, musulmano si professava anche Ali Harbi Ali, il 25enne cittadino britannico di origine somala che lo scorso 15 ottobre ha crivellato di colpi il corpo del deputato David Amess in una cittadina della contea di Essex.
Che Amess fosse ostile all’Islām, come avanzato da uno dei tanti predicatori dell’estremismo ancora attivi nel Regno Unito, per i musulmani non può essere considerato in alcun modo un movente valido e neanche lontanamente accettabile.

D’altro canto, il giovane Ali è solo l’ultimo di una lunghissima lista di musulmani passati all’azione terroristica dopo essere caduti nella trappola dei suddetti predicatori, che gli hanno fatto credere che non c’è Jihād senza uccidere, e che uccidere significa rispettare e sostenere l’Haqq e il Dīn riconducibili alla volontà suprema di Allāh (swt).
Manipolazioni concettuali più sofisticate, elaborate sempre dal pensiero radicale, pur negando furbescamente che il Jihād equivalga ad uccidere, promuovono la tesi stando alla quale “uccidere può essere uno strumento del Jihād, quando di uccidere ce n’è bisogno”.

Ecco allora i “sapientoni”, imitati dai loro followers “sapientini”, strumentalizzare il versetto del Qur’an, “uccidete i politeisti [associatori] ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendetegli agguati” (Sūrah “At-Tawba”, 9:5), per avvalorare dal punto di vista religioso il proprio bisogno animalesco di ricorrere alla violenza ovunque e comunque. Un bisogno dell’ego, che serve esclusivamente a soddisfare la volontà di sopraffazione e predominio personale da cui sono posseduti, e che non ha alcun legame con i compiti che i musulmani sono chiamati a svolgere durante l’esistenza terrena. Quali sono questi compiti, occorre ricordarglielo?
Il Profeta Muhammad (saw) è stato inviato come Messaggero per portare l’Islām all’umanità e non certo per uccidere in nome di Colui che lo ha inviato: ovvero, Allāh il Misericordioso, Colui che ama e l’Amabile, il Dolcissimo e il Compassionevole, il Paziente e il Perdonatore, il Giusto e il Munifico, il Sublime e la Pace, la nostra pace e la nostra salvezza. Nel propagare la “Religione della verità” (Sūrah “At-Tawba”, 9:29 e 9:33; Sūrah “Al-Fath”, 48:29; Sūrah “As-Saff”, 61:9), i musulmani che sono davvero “sottomessi” ad Allāh (swt) devono pertanto “sforzarsi” di agire secondo le stesse qualità dell’Altissimo, esemplificate nella Sunnah del Profeta Muhammad (saw), sulla “Retta Via” del perfezionamento spirituale ed interiore.
Uccidere è invece compito solo degli “sviati” di Shaytān, che continua a ingannare la mente e il cuore di tanti credenti, convincendoli che spargere sangue è parte integrante della Daʿwa, nonché un dovere prioritario da compiere per piacere ad Allāh (swt).
Gli “sviati” che abbracciano l’ideologia anti-islamica che strumentalizza ed estremizza i principi islamici dell’Al Wala’ Wa’ Bara’ e dell’Al Kufr bit-Tāghūt, giungono persino al punto di voler “odiare per il bene di Allāh”. Ma di quali aberrazioni blasfeme si sono riempiti il cervello? E amano pure vantarsene con i compagni di “sviamento” su Facebook, come nutrimento per i loro ego vanagloriosi e frustrati. Problemi di autostima? Come possono credere che gli Al Salaf Al Sālih, quelli autentici, sarebbero fieri di loro?

In realtà, non adorano Allāh (swt), bensì la proiezione gonfiata della propria immagine, dietro la quale si nasconde la figura malvagia di Shaytān. Appartengono dunque anch’essi alla categoria dei politeisti associatori (shirk) contro cui ardentemente si scagliano? Con l’aggravante che pensano di essere i musulmani più musulmani del mondo, mentre professano la “religione della falsità” di Shaytān al quale sono sottomessi.
Attraverso le lenti deformanti del loro padrone, guardano al mondo e alla storia come fosse una Medina permanente, incapaci di operare un discernimento equilibrato ed equanime (Wasatiyyah), nonché strategicamente intelligente degli scenari attuali, dimenticando che la Ummah è stata fatta come “una comunità moderata” (Sūrah “Al Baqara”, 2:143), secondo la sapienza di Allāh (swt) iscritta nel Qur’an. Finiscono così preda di un Tafsīr impazzito, che predica la militarizzazione ideologica della fede, con le gravissime conseguenze che tutti conosciamo, in cui non c’è nulla d’islamico.
Dell’Islām, piuttosto, sporcano ignobilmente il nome, seminando morte e distruzione con armi da taglio e da fuoco, cinture esplosive, autobombe, camion assassini e anche semplicemente con il pensiero e la parola, quando vengono giustificati nefandi atti di terrore al grido della frase più bella che si possa pronunciare: “Allāhu Akhbar” (Takbīr).
Soldatino di Shaytān, e non certo un Mujāhid di Allāh (swt), Ali Harbi Ali avrebbe quindi ucciso perché nel Regno Unito ce ne sarebbe “bisogno”, stando agli “scienziati” che strumentalizzano i principi di Al Wala’ Wa’ Bara’ e Al Kufr bit-Tāghūt. Verifichiamo allora se per i musulmani basati nel Regno Unito esista effettivamente un qualche “bisogno” di uccidere. In primo luogo, i numeri della Daʿwa ‒ condotta senza Spada ‒ ci vengono incontro come utile indicatore. Negli ultimi 10 anni, i britannici che sono ritornati all’Islām si sono triplicati, superando quota 100.000: segno indubbiamente di una ricettività in costante crescita da parte della popolazione. Il totale dei musulmani, inoltre, ammonta ad oltre 3 milioni di fedeli, che nella società svolgono ruoli di sempre maggiore rilevanza fino a raggiungere i vertici delle istituzioni locali e nazionali.

La domanda sorge allora spontanea: perché uccidere? Perché farlo? Un “bisogno” a ben vedere esiste, ma non riguarda i musulmani. È infatti Shaytān ad averlo, non potendo accettare una situazione così benaugurante per la propagazione dell’Islām nel Regno Unito, specchio di un andamento che si conferma molto positivo anche in altri paesi europei. Di qui il militantismo che sfocia nel terrorismo, nel tentativo di sabotare il disegno comunque inarrestabile di Allāh (swt), generando ostilità sociale nei confronti dei musulmani, sfavorendo le conversioni e allontanando i credenti dall’Islām, affinché non ottengano la salvezza.
Lo “sviamento” armato su suolo britannico non molla la presa dagli attacchi del 7 luglio 2005, a cui sono seguiti decine di attentati, sventati o riusciti, eclatanti o meno, con centinaia e centinaia di morti e feriti. David Amess è l’ultimo della serie ed ai falsi Al Salaf Al Sālih chiediamo se alle posizioni oltranziste del deputato non sarebbe bastato rispondere civilmente con la ragione e le ragioni dell’Islām.
I predicatori dell’estremismo, radicalizzatori di professione circondati da sgherri e teppisti che pretendono di passare per veri credenti, sono naturalmente un’infima minoranza anche nel Regno Unito. Si tratta, tuttavia, di una minoranza che uccide e spinge ad uccidere, tenuta in vita dalle maglie incredibilmente larghe garantite da una malintesa nozione di libertà d’espressione di cui Shaytān è sempre pronto ad approfittare. Ma non solo.
In aggiunta, giocano a favore di Shaytān quei musulmani che si sollevano risentiti ogni qualvolta il dito viene messo nella piaga dell’estremismo, alimentando quel malriposto vittimismo che funge da leva psicologica per il passaggio all’azione terroristica.
Un giovane musulmano di 25 anni ha ucciso un uomo con 17 coltellate: che si aspettano dai media “miscredenti” occidentali, che parlino della “Daʿwa esemplare e di altissimo livello” svolta nel Regno Unito dal “1866”? Che celebrino “una storia che oggi vede i musulmani come vincitori giorno per giorno”, dopo gli attentati a Westminster e London Bridge, e la strage della Manchester Arena? Eppure, non appena si punta il dito su Londonistan gridano allo scandalo e all’islamofobia: da cosa deriva la loro suscettibilità, hanno per caso la “coda di paglia”?
E così Shaytān ringrazia, continuando a trovare terreno fertile per proseguire con il reclutamento di giovani malcapitati e sprovveduti come Ali Harbi Ali, trasformato in poco tempo in un’arma letale al suo servizio, sfruttando efficacemente anche il moltiplicatore di “sviamento” rappresentato dalla rete di internet e dei social media. A quando il prossimo attacco?
È da “ipocriti” lamentarsi per le critiche e persino per le offese ricevute, se nulla si fa, o quanto meno si dice, per combattere Shaytānistan, ovunque si trovi nel mondo, Italia compresa. Una Daʿwa intra-musulmana per indurre i credenti, specie quelli che indulgono nel vittimismo o nell’indifferenza, a un maggiore “sforzo” (Jihād) contro estremismo e terrorismo non guasterebbe. Riteniamo ragionevolmente che sarebbe uno “sforzo” gradito ad Allāh (swt), mentre per coloro che s’ingannano nel pensare che odiando o uccidendo “per il suo bene” si salveranno, diciamo con Taqwā che l’Altissimo non gliene “renderà merito”. Pertanto, pentitevi! Finché siete in tempo, perché…
“Quando tutto sarà concluso, dirà Shaytān: ‘Allāh vi aveva fatto promessa sincera, mentre io vi ho fatto una promessa che non ho mantenuto. Qual potere avevo mai su di voi, se non quello di chiamarvi? E voi mi avete risposto. Non rimproverate me; rimproverate voi stessi. Io non posso esservi d’aiuto e voi non potete essermi d’aiuto. Rifiuto l’atto con cui mi avete associato ad Allāh in precedenza’. In verità gli iniqui avranno un doloroso castigo” (Sūrah “Ibrāhīm”, 14:22).
