COSA POSSONO FARE I MUSULMANI PER L’ISLĀM? BANNARE ZAKIR NAIK!

Con gli sconvolgimenti che hanno colpito recentemente l’Afghanistan, sono riaffiorate in superficie da parte musulmana simpatie e aderenze pro-talebane a lungo covate e rimaste latenti, ma dimostratesi piuttosto diffuse nella Ummah di oggi ovunque nel mondo, Italia compresa. Dell’argomento, ci siamo già occupati nell’articolo Il ritorno dei Talebani in Afghanistan: il punto di vista di Jihad senza Spada. Scavando più a fondo in cerca di spiegazioni sulle origini del fenomeno, è stato facile imbattersi ‒ nuovamente ‒ nella figura dell’indiano Zakir Naik, l’influente (tele)predicatore dell’estremismo che negli ultimi 30 anni, con i suoi sermoni e invettive, ha “sviato” una miriade di musulmani, contribuendo concretamente a radicalizzare giovani credenti passati poi all’azione terroristica. Qual è il filo rosso che lega Zakir Naik all’Afghanistan dei Talebani, nonché di Al Qāʿida e dell’ISIS?

CHI È DAVVERO ZAKIR NAIK
Per un quadro più ampio ed esaustivo, rimandiamo alla lettura di Zakir Naik: niente “menzioni d’onore”, ma fuori dalla “Ummah”, dove viene ricostruita l’epopea negativa del personaggio. Qui di seguito ne rievochiamo i tratti principali, che di Naik mettono in luce la collusione con il terrorismo e la centralità dell’Afghanistan nel suo “discorso” radicale.

Laureato in medicina, ma forgiatosi come predicatore all’interno delle fucine dell’estremismo indiano, le “performance” oratorie davanti a vasti uditori in raduni e incontri appositamente organizzati hanno fatto di Zakir Naik una “referenza” per le nuove generazioni di musulmani, prima nel Subcontinente e poi nel resto dell’Asia, in Medio Oriente, Africa ed Europa.

Con la citazione coranica sempre pronta, sia da strumentalizzare a sostegno delle proprie tesi, che per impressionare il pubblico, Naik ha intrapreso la carriera di “sviatore” agli inizi degli anni ’90. Le sue conferenze in lingua inglese e urdu venivano trasmesse su reti via cavo nei quartieri musulmani di Mumbai, e circolavano anche attraverso videocassette, CD-DVD e su internet. La consacrazione internazionale è avvenuta grazie alla potenza divulgatrice di Peace TV, canale televisivo satellitare fondato nel 2006 dallo stesso Naik: un pulpito personale capace di raggiungere i quattro angoli della terra, superando i 200 milioni di spettatori, tra i quali ha tratto con ogni probabilità gli oltre 22 milioni di “followers” che lo seguono attualmente su Facebook.

Va osservato che una consacrazione di simile portata non sarebbe potuta avvenire senza l’imprescindibile supporto politico ed economico ‒ ben descritto in Zakir Naik: niente “menzioni d’onore”, ma fuori dalla “Ummah” ‒ ricevuto dalle leadership dei principali paesi musulmani, che lo hanno sostenuto conferendogli onorificenze e ospitalità anche e soprattutto dal momento in cui il suo nome è cominciato a comparire regolarmente in indagini relative a svariati attentati, quale ispiratore ideologico e motivazionale dei militanti coinvolti.

Ricercato dalla giustizia indiana per incitamento al terrorismo e riciclaggio di denaro, il 56enne Zakir Naik ha trovato stabilmente rifugio in Malesia, continuando a rigettare ogni addebito. Le evidenze contro lui sono però schiaccianti, a partire dai legami dell’Islamic Research Foundation International (IRFI), stabilita da Zakir Naik a Mumbai nel 1991, con la Jamaat-ud-Dawaa, emanazione indiana della pakistana Lashkar-e-Taiba e protagonista degli attacchi multipli che hanno avuto luogo, guarda caso, in quel di Mumbai il 26 novembre 2008 (oltre 190 vittime e 300 feriti). Tra gli attentatori, infatti, ve n’erano alcuni che custodivano negli zaini CD contenenti sermoni di Naik.

In precedenza, era già emersa chiaramente l’influenza di Zakir Naik su uno dei responsabili delle esplosioni avvenute su diversi treni l’11 luglio 2006 sempre a Mumbai (209 morti e più di 700 feriti), risultato essere un militante che lavorava con l’IRFI come volontario. L’IRFI è collegata anche all’apertura di una serie di scuole, inizialmente in India e successivamente in vari paesi arabi e islamici”, che “educano studenti non-arabi fin dalla più giovane età […] agli studi coranici”. Ma di quali adulterazioni estremiste del vero Islām si tratta?

Sulle tracce di Zakir Naik si trova inoltre il governo del Bangladesh, per il ruolo determinante svolto nella radicalizzazione del gruppo di giovani bengalesi (ventenni e con meno di vent’anni) che si sono macchiati dell’uccisione di 20 persone (9 italiani) il 2 luglio 2016 a Dhaka. Ad indurli al folle gesto, totalmente antitetico all’Islām dal punto di vista teologico, dottrinario e valoriale, hanno contribuito significativamente le prediche infuocate di Naik trasmesse su Peace TV e sui social media, seguite anche dai “foreign fighters” bangladesi prima di recarsi in Siria per unirsi ai ranghi dell’ISIS.  

Come se non bastasse, Zakir Naik è associato agli attacchi effettuati il 21 aprile 2019 a Colombo nello Sri Lanka (267 morti), dove uno degli attentatori suicidi, Zahran Hashim, il mastermind dell’operazione, non ha nascosto di esserne un fan accanito. “Per anni, quest’uomo di fede (?) ha diffuso il suo incitamento senza essere bannato”, ha affermato in un video pubblicato su YouTube: “Cosa possono fare i musulmani dello Sri Lanka per il Dr. Zakir Naik?”. La risposta è stata la strage di Colombo.

AFGHANISTAN
Nelle cronache terroristiche, Zakir Naik è segnalato altresì nell’ambito delle investigazioni riguardanti lo sventato attacco terroristico alla metropolitana di New York ad opera di una cellula collegata ad Al Qāʿida, risalente al settembre del 2009. Uno dei militanti arrestati, Najibullah Zazi, di origine afgana e con passaporto statunitense, era un fervente ammiratore di Zakir Naik e delle sue video-prediche, specie su YouTube. Dichiaratosi colpevole, Zazi ha confessato durante il processo di aver cercato nella primavera del 2008 di unirsi ai Talebani in Afghanistan, “ma siamo stati invece reclutati da Al Qāʿida”. Il condizionamento di Zakir Naik sul giovane afghano è evidente.

Fin dalla creazione del primo presunto emirato islamico nel 1996, Naik ha infatti preso insistentemente le parti dei Talebani in molteplici interventi e dibattiti, difendendoli dall’accusa di violare la sharīʿa, specie per il trattamento violento e discriminatorio riservato alle donne. Non solo. Ha fatto da scudo anche ad Al Qāʿida, giustificandone le azioni terroristiche in nome dell’Islām durante una famigerata lectio impartita a numerosi giovani indiani accorsi in un auditorium per ascoltarne la “parola”.

Alla domanda pertinente di uno dei partecipanti, che gli chiede “cosa si sta facendo per correggere le concezioni sbagliate che hanno gli stessi musulmani, e per dire a Osama bin Laden e ai Talebani che con il loro operato stanno danneggiando l’Islām”, Naik risponde piccato: “Che Bin Laden e i Talebani stanno danneggiando l’Islām, è una tua opinione”. Poi, rilancia la sfida citando in maniera strumentale un verso del Qur’an: “O credenti, se un malvagio vi reca una notizia, verificatela, affinché non portiate, per disinformazione, pregiudizio a qualcuno e abbiate poi a pentirvi di quel che avrete fatto” (Sūrah “Al Hujurat”, 49:6).

Attraverso questo uso proditorio della parola di Allāh (swt), che offre la misura di tutta la disonestà morale e intellettuale di cui è capace, Zakir Naik manipola così lo scenario, elevando Bin Laden e i Talebani a vittime della disinformazione di chi (i “media occidentali”) riporterebbe notizie false allo scopo di diffondere una percezione negativa che non troverebbe riscontro nella realtà.

“Leggo sui giornali che i Talebani sono uomini crudeli… Dicono alle donne di smetterla di lavorare e di stare a casa”, prosegue. Da altre fonti, invece, “leggo che riceveranno il salario sulla porta di casa”. “Non so se questa notizia è vera o falsa… Ma se mia sorella vivesse in Afghanistan e qualcuno mi dicesse che riceverà il salario alla porta senza lavorare… Tu cosa preferisti?”.

Sul tema delle donne afghane, Zakir Naik si è espresso su questa falsariga in un altro raduno di massa: “Perché le donne vengono degradate in Afghanistan, come si vede in televisione?”, chiede una giovane musulmana. La risposta è alquanto fantasiosa, oltre che ridicola: “I filmati sono girati a Hollywood”.

Tornando all’auditorium, dopo aver sguainato la spada a difesa dei Talebani, Naik si sofferma pericolosamente su Osama bin Laden. “Bombardamento in Nigeria, è stato Bin Laden, dicono i media occidentali. Sarà vero? Non lo sappiamo. Ma se vuoi sapere la mia opinione, se Bin Laden sta combattendo i nemici dell’Islām, allora io sono con lui”, afferma perentorio. “Non lo conosco personalmente, non sono in contatto con lui, leggo solo i giornali. Ma se Bin Laden sta terrorizzando i terroristi, se sta terrorizzando l’America terrorista, io sono con lui. Ogni musulmano dovrebbe essere un terrorista”.

“Ogni musulmano dovrebbe essere un terrorista”, ecco gli insegnamenti del “cattivo maestro” che saranno messi in pratica da discepoli “sviati” come Najibullah Zazi o gli attentatori del 2 luglio 2016 a Dhaka, uno dei quali, Rohan Imtiaz, prima di colpire aveva pubblicato sulla sua pagina Facebook proprio la frase fatidica: “Ogni musulmano dovrebbe essere un terrorista”. All’appello hanno risposto positivamente anche i “foreign fighters” bangladesi che hanno preso la strada dell’ISIS in Siria.

Spiega la scrittrice di origini bangladesi, Taslima Nasreen, che “molti aspiranti terroristi sono incitati da Zakir Naik. Non ha il machete in mano, ma ad imbracciare i machete sono i suoi seguaci”, tra i quali vanno certamente annoverati gli attentatori di Mumbai e Colombo.

Per non attrarre nuove critiche dopo le dichiarazioni pro-Bin Laden e pro-Talebani, Zakir Naik si è pronunciato negativamente in merito all’ISIS, coniando l’acronimo AISIS, ovvero l’Anti-Stato Islamico. Tuttavia, Mohammad Ibrahim Yazdani, il capo di una cellula dell’ISIS in territorio indiano, ha confessato dopo il suo arresto di essere stato influenzato dai sermoni di Naik, al pari degli altri membri del gruppo.

Il collegamento tra Zakir e l’ISIS è emerso inoltre nel caso delle giovani coppie musulmane che dallo stato indiano del Kerala si sono recate in Afghanistan per vivere nella provincia del sedicente “stato islamico” basata nel Khorasan. Nella radicalizzazione di moglie e marito ha svolto un ruolo di primo piano Arshid Qureshi, responsabile delle relazioni esterne dell’IRFI.

LIBERTÀ DI RADICALIZZARE?
Mera “disinformazione”, afferma Naik per respingere le accuse nei suoi confronti, atteggiandosi così a leader perseguitato a cui i suoi seguaci credono ciecamente. Il problema della veridicità delle notizie che circolano sui media è reale e riguarda in generale anche altri ambiti. La prudenza, pertanto, è sempre d’obbligo, ma tacciare in maniera sistematica ogni notizia che non mette in buona luce se stessi, o i Talebani e Al Qāʿida, di essere una una “fake news” fabbricata dai miscredenti “occidentali”, è un metodo di propaganda che Zakir Naik ha contribuito significativamente a diffondere tra i militanti e i simpatizzanti del “discorso” radicale, come meccanismo di risposta automatica a qualsiasi informazione critica. Tale metodo è stato adottato anche recentemente per sostenere sui social media la causa della riconquista del potere dei Talebani in Afghanistan, bollando come non veritiere, ad esempio, le notizie e le testimonianze relative al ritorno di un clima di violenza e discriminazione nei confronti delle donne.

Ciò che più inquieta, è la libertà con cui Zakir Naik ha potuto per lungo tempo svolgere la sua opera nefasta di predicatore/radicalizzatore, senza incontrare ostacoli. Alla già menzionata connivenza delle leadership dei principali paesi musulmani, va ad aggiungersi il permissivismo dei paesi occidentali, “sviati” dalla loro malintesa nozione di libertà di espressione, che è finita per essere applicata tanto alle famigerate vignette di Charlie Hebdo, quanto a personaggi loschi e malintenzionati del calibro di Zakir Naik, con conseguenze a dir poco tragiche in entrambe le circostanze in termini di radicalizzazione, terrorismo, morti e feriti.

Il mastermind della strage di Colombo, Zahran Hashim, aveva in effetti colto in pieno, esaltandolo, l’aspetto cruciale della libertà di cui Zakir Naik ha ampiamente (e impunemente) goduto nel promuovere il suo proselitismo estremista: “Per anni, quest’uomo di fede ha diffuso il suo incitamento senza essere bannato. Cosa possono fare i musulmani dello Sri Lanka per il Dr. Zakir Naik?”.

D’altro canto, degno di nota è quanto fatto dai paesi occidentali, che a Zakir Naik hanno concesso ingenuamente il pulpito di prestigiose università, centri di studio e moschee nel corso di conferenze e dibattiti, in qualità di presunto “intellettuale” musulmano. Neppure l’Italia, purtroppo, è esente da responsabilità. Nel luglio 2008, Zakir Naik si è infatti recato a Roma, ospite d’onore del Centro Studi Americani, e poi, nel febbraio 2009, a Milano e Brescia, presso alcune comunità islamiche locali, con sermoni tenuti in lingua urdu. La visita in Lombardia, va osservato, è avvenuta successivamente agli attacchi terroristici di Mumbai (novembre 2008), per i quali Zakir Naik era già stato abbondantemente denunciato a causa della sua diretta responsabilità nella radicalizzazione degli attentatori.

Roma
Brescia

Lo spuntare dei “frutti” avvelenati della sua intensa predicazione estremista, determina un cambio di atteggiamento verso Zakir Naik da parte dei paesi occidentali. Nel 2010, Regno Unito e Canada gli vietano l’ingresso nel timore che le sue lezioni potessero alimentare la radicalizzazione a livello locale. La giustizia britannica avvia inoltre un’indagine sulle modalità d’impiego dei finanziamenti ricevuti dal ramo britannico dell’IRFI con sede a Birmingham: circa 7 milioni di sterline tra il 2009 e il 2014, una parte dei quali devoluti a Peace TV, a conferma dell’enorme raggio d’azione che il Regno Unito gli aveva concesso in precedenza.

I conti in sospeso di Londra nei confronti di Naik si estendono fino alla cellula di Al Qāʿida basata a New York nella quale figurava l’afghano Najibullah Zazi, che era a sua volta collegata a una cellula qaidista attiva nel Regno Unito che pianificava un attentato su suolo britannico. Tuttavia, è solo nel 2020 che Londra decide di bannare Peace TV per aver violato i regolamenti in materia d’incitamento all’odio e a compiere atti criminali e omicidi. Il provvedimento è stato preso sulla scia di Bangladesh (2016) e Sri Lanka (2019), i cui governi hanno deciso di bannare Peace TV solo in conseguenza degli attacchi terroristici di Dakha e Colombo (in India, Peace TV è stata dichiarata illegale nel 2009).

Si tratta di un colpevole ritardo, reso ancor più colpevole dalle motivazioni fornite dalle autorità bangladesi, che hanno definito Peace TV “non coerente con la società musulmana, il Qur’an, la Sunnāh, gli Hadīth, la Costituzione del Bangladesh, la nostra cultura, costumi e rituali”: perché allora attendere oltre 10 anni, il tempo per radicalizzare una generazione di giovani bangladesi, prima d’intervenire?

“BANNARE” ZAKIR NAIK
Mettere al bando Peace TV per contrastare la radicalizzazione che promana dalla figura di Zakir Naik, è tuttavia una mossa dall’efficacia molto ridotta, vista la circolazione sostanzialmente illimitata sui social media di video e filmati delle sue “performance” sul canale satellitare e su altre piattaforme. Facebook e YouTube custodiscono un archivio senza fine, che contribuisce irresponsabilmente ad alimentare il culto di Zakir Naik tra gli utenti musulmani che cadono nella trappola. Pagine non-ufficiali a lui dedicate sono presenti anche in lingua italiana, mentre una miriade di posts con frasi di propaganda ispirate da Naik fanno il giro della rete senza fermarsi mai. Sono numerosi anche i casi di contenuti propagandistici tratti dai suoi discorsi, che vengono riproposti senza menzionare esplicitamente la fonte.

In breve, complici contesti collusi, oltremodo permissivi o noncuranti, Zakir Naik continua ha pervadere sia la rete che l’etere, sempre pressoché incontrastato. I numeri parlano chiaro: 200 milioni di spettatori per Peace TV, 22 milioni di “followers” su Facebook, tutti “sviati” da Zakir Naik? Una cifra gigantesca rispetto al totale della popolazione musulmana mondiale, che non lascia dubbi sulle proporzioni drammatiche ormai raggiunte dall’avvelenamento subito dalla Ummah ad opera dell’estremismo.

Davanti a quest’ennesima minaccia nei confronti dell’Islām che nasce dall’interno della Ummah, i musulmani non possono contare su governanti e sapienti, ma sono direttamente chiamati essi stessi a un grande “sforzo” (Jihād) per combattere l’incarnazione di Shayṭān che corrisponde al nome di Zakir Naik. Il campo di battaglia adesso è sgombro dal minimo residuo d’“ignoranza”, il suo vero volto da “falso musulmano” è stato svelato una volta per tutte: cosa possono fare i musulmani per l’Islām? Bannare Zakir Naik!

Se vi capita di guardare le sue messinscene o di leggere i suoi sproloqui, non abbiate dubbi: si tratta di un inganno che mira a spingere i credenti nelle braccia della violenza, anche quando il “lupo” si presenta vestito da candido “agnellino”, con messaggi che mirano a farlo passare come un autentico “uomo di fede”. Bloccate pertanto i contatti di chi li diffonde, non dimenticando di denunciarli anche pubblicamente su Facebook e altri social media, in modo da mettere in guardia tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle. Se preferite non esporvi, fatelo privatamente e nei modi che ritenete più opportuni, ma fatelo… Come musulmani, combattiamo insieme contro Zakir Naik, per l’Islām e per la Ummah, affinché sorga finalmente quella “comunità che inviti al bene, incoraggi ciò che è buono e proibisca ciò che è male” (Sūrah “Āl ‘Imrān”, 3:104), secondo i desideri di Allah (swt) l’Altissimo. “Ecco coloro che prospereranno”, ci dice il Qur’an, che non si riferisce di certo ai seguaci “sviati” di Zakir Naik.

#Ban_Zakir_Naik

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