ISLAMOFOBIA, BASTA STRUMENTALIZZAZIONI

Pubblichiamo una nota ricevuta da un lettore di “Jihad senza Spada” che offre un interessante punto di vista musulmano sulla questione dell’islamofobia. Buona lettura!

Il recente attacco terroristico avvenuto in Canada e costato la vita a 4 membri di un’intera famiglia musulmana, non può lasciarci indifferenti, ma stimola una rinnovata riflessione sull’islamofobia, sulle cause del fenomeno e sui rimedi posti in essere per debellarlo.

Con una petizione indirizzata a Facebook e Twitter, la Lega Musulmana Mondiale, espressione dell’Arabia Saudita, ha richiesto di “rimuovere i contenuti islamofobici dalle loro piattaforme”. “I musulmani ‒ si legge nel testo ‒ continuano a subire abusi personali, minacce e violenze fisiche alimentate dai contenuti diffusi attraverso i social media. L’islamofobia è una malattia e i social media ne sono l’incubatore. […] I musulmani sono soggetti quotidianamente ad abusi verbali, vandalismo, discriminazioni ed episodi di violenza fisica, tutti alimentati dai social media”.

Il principale luogo geografico, “reale” e non virtuale, a cui la petizione fa riferimento non è menzionato esplicitamente, ma è piuttosto facile da dedurre. Si tratta dei paesi occidentali, dove è innegabile che i musulmani si trovino di fronte a un clima di crescente diffidenza e ostilità, che può culminare in stragi come quella canadese o di Christchurch in Nuova Zelanda, o nei piani di attacco sventati in Germania contro alcune moschee.

Innegabile è anche il ruolo d’“incubatore” ideologico e motivazionale esercitato dai social media, pertanto l’appello della Lega Musulmana Mondiale può essere considerato opportuno e necessario, dal momento che Facebook e Twitter non hanno ancora dato seguito alle dichiarazioni d’intenti con provvedimenti concreti volti a “rimuovere finalmente questi contenuti, e a far sì che chi li diffonde non abbia più una casa su quelle piattaforme”.

D’altro canto, la petizione sorvola completamente sulle origini dell’islamofobia, come se il fenomeno sussistesse di per sé e non fosse il risultato di dinamiche preesistenti. Ma per guarire dalla “malattia”, eliminare i sintomi sui social media non basta. Bisogna anche puntare il dito contro certe politiche miranti alla costruzione di un’identità musulmana contrapposta e rivendicativa rispetto alle società occidentali, sostenute da alcuni esponenti della comunità musulmana. Alimentare nei musulmani un senso di contrapposizione con le società occidentali significa infatti impedire la loro piena integrazione, con ciò agevolando l’estremismo, che attinge per il reclutamento di nuovi militanti laddove i giovani musulmani, di origine immigrata e non, si sentono in conflitto con il contesto che li circonda.

Da tale approccio, la Lega Musulmana Mondiale sembra ancora non essersi pienamente discostata, nonostante la fase di cambiamento avviata dal Segretario Generale, Muhammad Al Issa. Dal 2016, anno della sua investitura, Al Issa ha avviato l’inizio di un nuovo corso, impegnando la Lega Musulmana Mondiale in un’intensa attività di “diplomazia pubblica” incentrata sulla promozione di principi certamente più conformi a quelli dell’Islām autentico, quali il centrismo e la moderazione, il pensiero critico, la convivenza pacifica e la tolleranza verso le differenze religiose e culturali, che mai possono giustificare estremismo, militanza, violenza e terrorismo.

Il nucleo del “nuovo” pensiero dell’organizzazione è racchiuso nella “Carta della Mecca”, documento approvato nel 2019 ambiziosamente in continuità con la “Carta di Medina” del Profeta Muhammad (saw). Il documento invoca per i musulmani un’“integrazione nazionale positiva”, puntando il dito contro quelle “nozioni stereotipate e pregiudizievoli [dell’Islām] diffuse da coloro che affermano falsamente di essere veri musulmani”, dando così la stura al “fenomeno dell’Islamofobia”, che “deriva dall’incapacità di comprendere veramente l’Islām”. Un’implicita condanna dei metodi precedentemente adottati e al contempo un’ammissione di responsabilità sia per la mancata integrazione di ampi settori della popolazione musulmana nei paesi occidentali, che per aver contribuito a creare i presupposti che hanno consentito alla “malattia” dell’islamofobia di attecchire ed espandersi a macchia d’olio nei suddetti paesi.

Da ciò sarebbe dovuta derivare una presa di distanza chiara e netta dall’ondata delle campagne mediatiche in corso, dove la legittima denuncia dell’islamofobia si confonde con manifestazioni di un super-ego identitario musulmano, individuale e collettivo, che non fa altro che generare reazioni contrarie e sempre più spesso più che proporzionali, come in ultimo l’attacco terroristico in Canada, oltre a indurre gli stessi musulmani a sguainare la “spada” (Parigi, Nizza, Vienna, ecc.) o a giustificarne l’utilizzo.

La Lega Musulmana Mondiale, invece, a imitazione delle campagne da cui avrebbe dovuto distinguersi seguendo l’orientamento della “Carta della Mecca”, ha preferito lanciare una propria “offensiva” mediatica a colpi di slogan unidirezionali (ad esempio, #RejectHate e “tolleranza zero contro hate speech”) che non invitano i musulmani a stemperare gli animi e a ragionare sulle cause della “malattia” per poterla curare, bensì a gonfiare i muscoli e ad assumere una postura difensiva pronta al contrattacco, alimentando la conflittualità con i non-musulmani. Per verificare gli effetti ottenuti, è sufficiente leggere una parte significativa dei commenti lasciati dagli utenti in fondo sia alla petizione che al video messaggio con cui Al Issa esorta i musulmani a firmarla.

La nota lieta è la crescita della consapevolezza tra i musulmani nei paesi occidentali circa la necessità di liberarsi dai legami di eterodirezione per sviluppare un discorso indipendente finalizzato alla piena integrazione, nonché a tracciare una netta distinzione tra Islām e islamismo. Il tempo delle strumentalizzazioni è finito, se la Lega Musulmana Mondiale è intenzionata davvero a cambiare, e non semplicemente di pelle, agisca di conseguenza. Per il bene della Ummah.


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