ITALIA, ESTREMISTI A 18 ANNI? NO, GRAZIE

Sono una ragazza musulmana di origine marocchina, nata e vissuta nella provincia di Verona, cittadina italiana da qualche anno. I miei genitori sono arrivati in Italia alla fine degli anni ‘80 e posso affermare che la mia famiglia è ben integrata. Io e mio fratello maggiore abbiamo un lavoro stabile, mentre i due fratelli minori frequentano uno la scuola superiore, l’altro la scuola media. Il racconto che sto per fare non parla però né di me né della storia della mia famiglia, ma di una vicenda che ha riguardato molto da vicino Ahmed, il fratello minore di 17 anni.

Ahmed è ancora sotto shock per quanto accaduto recentemente ad Aarif, uno dei suoi migliori amici, di due anni più grande e finito in carcere con l’accusa di attività finalizzate al terrorismo.

Aarif era un ragazzo come tanti: nato in Italia anche lui da famiglia originaria del Marocco, con padre operaio (come il nostro) e diversi fratelli e sorelle. Scuola, campo di calcio, palestra e la moschea il venerdì insieme ad Ahmed. I due si sono frequentati per anni come parte di un gruppo più ampio di amici e compagni, un gruppo “misto” composto da musulmani e non. Tutto nella norma, apparentemente. O fino a un certo punto, perché circa un anno fa Ahmed ha cominciato a confidarsi in famiglia, in particolare con me e nostra madre, riguardo ai comportamenti inusuali e sospetti tenuti da Aarif.

Da qualche settimana, Aarif non era più lo stesso. Era distratto, assente, sembrava vivesse da un’altra parte e parlava spesso di “politica”, argomento mai toccato fino a quel momento, come mai aveva pronunciato i termini “jihād”, “shahīd” (martiri, ndr), “kuffār” (infedeli) in conversazioni con Ahmed. I due erano soliti piuttosto parlare di calcio, argomento su cui non mancavano discussioni animate perché tifosi di squadre diverse.

Ma Aarif era cambiato e i suoi discorsi si allontanavano sempre più dalla realtà di Ahmed e delle amicizie che avevano in comune; una realtà che era appartenuta allo stesso Aarif e che per quest’ultimo all’improvviso si era trasformata in un campo di battaglia.

Aarif si vedeva circondato da “nemici”, come chiamava i compagni non-musulmani, e si è così gradualmente isolato dall’intero gruppo. Anche in moschea, Aarif si comportava in maniera schiva e ad Ahmed non nascondeva la sua crescente insofferenza verso la predicazione dell’imam e l’atteggiamento degli altri fedeli, poiché non condividevano la sua stessa passione per il “jihād” in Siria e Iraq.

Ahmed avrebbe potuto seguire Aarif sulla via sbagliata dell’estremismo fino al reclutamento nell’ISIS, come scoperto successivamente. Sarebbe stato facile per un ragazzo musulmano di 16 anni, ancora innocente e immaturo, farsi ammaliare da discorsi che lo riempivano di adrenalina e lo facevano sentire “grande”. Invece, la reazione di Ahmed è stata una presa di distanza nei confronti dell’amico. Sentiva istintivamente dentro di sé che quanto Aarif diceva e che il modo in cui si comportava erano sbagliati e si confidava in famiglia alla ricerca probabilmente di protezione.

Ahmed, per carattere timido e riservato, non aveva la forza di contestare le posizioni e l’atteggiamento di Aarif, verso cui si sentiva in soggezione. Neppure Ahmed aveva la piena consapevolezza e le conoscenze adeguate per controbattere sul piano delle argomentazioni, sebbene l’educazione religiosa ricevuta in famiglia sia sempre stata assolutamente estranea all’estremismo. Era solo un ragazzo di 16 anni, ma che ha dimostrato grande solidità interiore nel non cedere di un millimetro alla tentazione di abbracciare gli slogan della propaganda dell’ISIS.

Con mia madre, avevamo così deciso di recarci dai genitori di Aarif per informarli dei racconti che ci venivano fatti da Ahmed. Eravamo sorprese dalla deriva del ragazzo. Conoscevamo la sua famiglia e, a detta di tutti, non aveva mai dato segnali né di simpatie o tendenze estremiste, né di avere problematiche di altro genere. Si trattava di una famiglia modesta, umile, lavoratrice, come tante famiglie d’immigrati musulmani in Italia, simile alla mia: tradizionalista e conservatrice, per usare termini molto usati oggi anche a sproposito, dove le donne – compresa la sottoscritta – portano il velo; ma una famiglia assolutamente sana.   

Aarif allora? Forse una questione di personalità, di piccoli disagi psicologici con il mondo circostante vissuti in maniera silenziosa ma irrisolta, tanto da fargli credere che l’estremismo fosse la soluzione. Era un bravo ragazzo e Ahmed gli voleva bene.

L’emergenza in Veneto legata alla pandemia e il “lockdown” ci hanno poi impedito di fare visita alla famiglia di Aarif, e con il passare dei giorni la questione è passata in secondo piano, visto che Ahmed aveva interrotto ogni contatto con lui. Oltre a non potersi più incontrare, il filo che ancora li legava si era spezzato. Ahmed non aveva probabilmente più nulla da condividere, mentre Aarif proseguiva lungo la strada che di lì a poco lo avrebbe condotto in carcere.

Alla fine della primavera, la notizia dell’arresto viene rilanciata da giornali e televisioni, locali e nazionali. Le intercettazioni e il monitoraggio delle attività di Aarif su internet non lasciano spazio a dubbi: era stato reclutato dall’ISIS e aveva l’intenzione di recarsi in Siria. Nell’inchiesta insieme ad Aarif c’erano altri militanti, alcuni dei quali arrestati. Non si erano probabilmente mai incontrati, ma era diventati “amici” su internet e si scambiavano materiale, musiche, video e messaggi inneggianti all’ISIS, esprimendo il desiderio di partire per la Siria e di strutturare una vera e propria cellula terroristica dell’ISIS in Italia. Quanto basta per l’arresto.

La giustizia farà il suo corso e Aarif con ogni probabilità verrà condannato in via definitiva, ma mi auguro che grazie al supporto delle autorità italiane riuscirà a comprendere al più presto gli errori commessi e a liberarsi dall’estremismo. È giovanissimo e un posto per lui nella società italiana sono convinta sia ancora possibile. Di Ahmed sono fiera, come sorella maggiore ma anche come musulmana di origine marocchina, figlia d’immigrati in Italia. Il nostro destino è l’integrazione e non diventare terroristi dell’ISIS. Spero quindi che queste mie righe verranno lette da altri giovani come Aarif, dissuadendoli dal cedere alle lusinghe dell’estremismo.


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