“PERICOLO SALAFITA”: GLI IMAM RADICALI IN FRANCIA

Moschee, sale di preghiera, associazioni culturali, scuole e centri di aggregazione sociale nelle mani di imam e militanti che perseguono agende politico-ideologiche fondamentaliste: islamofobia? No, è la realtà della Francia di oggi (come di altri paesi in Europa), messa ben in evidenza nel documentario “Il pericolo salafita”, una carrellata di filmati originali e interviste che ci pongono di fronte al fenomeno dell’indottrinamento e della radicalizzazione, quali presupposti dell’azione terroristica ispirata a una concezione mistificatrice e violenta del “jihād”, ben lontana dal suo significato originale di “sforzo” per il perfezionamento spirituale e interiore.

Scontrandosi anzitutto con la componente musulmana moderata, favorevole a un’autentica integrazione e al rispetto dei diritti umani, gli esponenti del salafismo hanno attualmente il controllo di almeno 230 luoghi di predicazione sparsi ovunque in territorio francese. I finanziamenti giungono, immancabilmente, dai paesi del Golfo, in particolare da Arabia Saudita e Qatar, che esportano così la loro concezione religiosa ultra-conservatrice (wahhabismo), improntata a un’interpretazione letteralista e rigida del Corano, diffondendola all’interno delle comunità musulmani locali. Obiettivo? Stabilire in Francia un presunto “Stato Islamico”, prerogativa non esclusivamente dell’ISIS, che non a caso prende le mosse proprio dal salafismo.

A dichiararlo apertamente sono gli stessi predicatori dell’estremismo, come mostrano in maniera inequivocabile i video che li ritraggono e di cui è composto il documentario. Documentario che non si propone in alcun modo di essere denigratorio verso l’Islām e i suoi fedeli, le prime vittime di questa corrente di pensiero e degli imam che ad essa fanno riferimento, molti dei quali legati alla Fratellanza Musulmana.

Il documentario mostra estratti, brevi ma eloquenti, di sermoni pronunciati da tali imam negli anni che hanno preceduto gli attacchi terroristici di Charlie Hebdo e del Bataclan a Parigi nel 2015, quando ha avuto inizio la serie di attentati che ha colpito la Francia ininterrottamente fino ai giorni più recenti. Accoltellamenti, fuoco di kalashnikov, prese in ostaggio, camion impazziti, morti e feriti, hanno caratterizzato la cronaca quotidiana francese, con i picchi raggiunti dalle stragi di Nizza (2016) e Strasburgo (2018), senza dimenticare i poliziotti uccisi all’interno della prefettura della capitale (2019).

A partire dal 2015, spiega il documentario, le autorità francesi hanno ottenuto che questi imam assumessero un profilo più moderato in pubblico e sui social media, ritirandosi dalla prima linea del proselitismo fondamentalista: una misura che equivale al riconoscimento del contributo decisivo da essi fornito nel favorire la militarizzazione ideologica, poi sfruttata dall’ISIS, di quei settori della comunità musulmana da cui sono emersi gli attentatori, appartenenti alle cosiddette seconde e terze generazioni di origini maghrebina e africana.

Il compito di delineare le strategie per la costruzione di un presunto “Stato Islamico” in Francia è stato assolto dall’autorevole Makhlouf Mameche nelle vesti di imam della Grande Moschea di Lille, come mostrano diversi firmati di repertorio. Rivolgendosi ai numerosi fedeli radunatisi per ascoltarlo, Mameche illustra, senza giri di parole e in totale libertà, la via da seguire: “Cari fratelli e sorelle, come musulmani di Francia dobbiamo lavorare lentamente, senza gridare al lupo… dobbiamo lavorare, moltiplicare le nostre azioni, Inch’Allah, senza dirlo a tutto il mondo, senza fare rumore… Non dobbiamo dire tutto quello che facciamo agli altri, fratelli e sorelle, ma dobbiamo lavorare segretamente finché non avremo realizzato il progetto completo”. Un’esortazione, in sostanza, a far ricorso alla taqiyya, una pratica utilizzata dagli estremisti per “dissimulare la propria fede ai fini della conquista”, nella definizione data dal documentario.

“L’Islām – afferma Mameche – va predicato secondo delle tappe… Il suo messaggio va trasmesso poco a poco, senza bruciare i tempi”, evitando quindi di destare sospetti e di spingere le autorità francesi a prendere provvedimenti che possano ostacolare il conseguimento dell’obiettivo. “Non è ancora il momento per i musulmani di Francia d’imbracciare le armi per prendere il potere, perché sono ancora troppo poco numerosi”, spiega indottrinando i fedeli. “Bisogna restare discreti, aspettare il momento buono”, mentre “acquisiamo la forza per reagire”. Gli obiettivi di conquista qui enunciati sono espliciti, degni di un vero leader fondamentalista, come ripetutamente denunciato dai musulmani moderati e dalla stampa.

Dopo il 2015, Mameche ha in effetti assunto un atteggiamento più cauto, evitando di pronunciare apertamente discorsi con i contenuti e i toni del passato. Al contempo, risulta tuttora pienamente impegnato con molteplici incarichi di rilievo a livello sia locale che nazionale, quali quello di segretario generale della Grande Moschea di Lille e del consiglio regionale del culto musulmano, vice presidente dell’Unione delle organizzazioni islamiche di Francia (incaricato per l’insegnamento privato), presidente della Federazione nazionale dell’insegnamento privato musulmano e direttore finanziario di un liceo intitolato (ingannevolmente) ad “Averroè”. Liceo che non sorprende abbia ricevuto finanziamenti milionari dalla Qatar Charity, allo scopo ben preciso di promuovere il proselitismo fondamentalista attraverso la scuola e l’istruzione (si veda, a tal proposito, il famoso volume Qatar Papers, impropriamente sottotitolato nell’edizione italiana “Il libro nero dell’Islām”).

Le autorità francesi hanno ottenuto che Mameche interrompesse l’attività di predicatore dell’estremismo, ma non sono riuscite a impedirgli di continuare a esercitare la propria influenza, a conferma delle capacità del fondamentalismo di sfruttare a proprio vantaggio le garanzie e le libertà offerte dallo stato di diritto nei paesi democratici.

Restando in ambito scolastico, il documentario racconta della scuola elementare di Tolosa gestita dal militante, Abdelfatah Rahhaoui. Nell’istituto vigeva la segregazione dei sessi, le bambine a 9 anni erano già velate e il programma s’incentrava pressoché esclusivamente sullo studio dell’arabo e del Corano, nonché sull’educazione islamica (naturalmente secondo la concezione di Rahhaoui e del suo parco docenti), con uno spazio estremamente ridotto riservato alle materie scientifiche, come rilevato in un’indagine effettuata dall’ispettorato accademico.

Per la sua radicalità, Rahhaoui era già conosciuto alle forze di polizie prima che la scuola aprisse i battenti e nel dicembre 2019 è stato condannato per “insegnamento non conforme, apertura illegale di un istituto scolastico e violenza su minori”. Ma la condanna avec sursis non prevede il carcere e Rahhaoui è stato lasciato a piede libero, mentre numerose altre scuole di fondamentalismo continuano ad operare nel resto della Francia, clandestinamente o in condizioni d’illegalità.

Un altro caso eclatante di proselitismo fondamentalista riportato nel documentario riguarda la moschea di Poitiers, finanziata anch’essa dalla Qatar Charity e situata, guarda caso, “sulla principale rotta attraversata dall’esercito islamico nella battaglia contro Carlo Martello”, spiega un rappresentante della moschea: “Nella storia francese – rimarca – insistono sulla vittoria di Carlo Martello, poiché è stata l’unica vittoria dei cristiani sui musulmani in quell’epoca… allora, la conquista avveniva con la sciabola. Oggi, noi vogliamo fare del nostro centro di Poitiers una nuova tappa della conquista musulmana”.

I comuni fedeli, sottolinea un esperto di radicalizzazione intervistato, “quando vogliono costruire un luogo di culto nel loro quartiere, non hanno in mente la conquista attraverso le moschee”, ma vengono poi indottrinati in tal senso dagli imam. “Nello spirito dei Fratelli Musulmani, la costruzione di moschee significa infatti rendere visibile la presenza islamista in Francia e in Europa”.

Lo “Stato Islamico” che deve venire ha gli stessi tratti di quello impiantato dall’ISIS tra Siria e Iraq (o dai talebani e Al Qāʿida in Afghanistan). “Coloro che amano e ascoltano la musica, cosa ascoltano? Il diavolo!”, afferma Rachid Eljay, predicatore radicale della moschea di Brest, davanti ad adolescenti e bambini, nel filmato di apertura del documentario. Eljay prende inoltre di mira il sesso femminile: “Dove è il tuo hijab? Come può una donna dire che ha pudore se esce di casa senza il suo l’hijab? L’hijab è il pudore della donna e senza pudore la donna non ha onore. E se la donna non ha onore, gli uomini – musulmani e non – di questo tipo di donne fanno abuso”.

Ancora sulla donna, l’ex imam di Alfortville, Abdelali Mamoun, nel corso di una trasmissione radiofonica: “La donna deve portare l’abito lungo, come legiferato nella sura 33. Si parla di pudore… Quello che m’infastidisce è che ci sono donne mettono i pantaloni stretti e poi indossano il velo sulla testa per legittimare e giustificare il fatto che portano una tenuta indecente. Queste donne non rispettano affatto l’ingiunzione della sura 33”.

Su questa scia, si è pronunciato l’ex imam di Villetaneuse, Mehdi Kabir: “Se un uomo chiama la sua donna a letto e lei si rifiuta, gli angeli la maledicono finché non si sveglia… Che lei non lo interrompa mai mentre lui parla e che non alzi mai la voce contro di lui… Che lei lo ascolti mentre lui le parla e si rivolge a lei… Che gli obbedisca quando lui le ordina delle cose e che si precipiti verso di lui quando arriva e rientra a casa. La donna virtuosa e intelligente non difende quasi in nessun caso sua figlia (nei confronti del genero), anche se sua figlia ha ragione… Deve dirle di ritornare da suo marito e di correggersi e se la femmina si rifiuta, in realtà non ha opposto rifiuto né al suo uomo, né ai genitori dell’uomo, ma ad Allah”. Passando ai precetti alimentari, Kabir sostiene che “colui che mangia il maiale, ha la tendenza ad avere i comportamenti di un porco”.

La presa di posizione delle autorità francesi in seguito agli eventi del 2015 ha prodotto cambiamenti tangibili nella condotta sia di Eljay, che Mamoun e Kabir. Il primo aveva raggiunto una notevole popolarità, con oltre un milione di “amici” su Facebook e numerosi spettatori sul suo canale Youtube (fino a 600 mila peer le sue prediche su masturbazione e adulterio). La minaccia di chiusura della moschea e di essere messo sotto processo, lo hanno indotto a compiere una svolta “moderata”. L’iscrizione a un corso di formazione per “conformarsi alle regole della laicità” e l’aver richiamato i fedeli a votare nel rispetto del sistema repubblicano, gli sono però valse una fatwa da parte dell’ISIS e un tentato di omicidio nei suoi confronti.

Mamoun e Kabir, entrambi allontanati dalle rispettive moschee (Alfortville e Villetaneuse), hanno intrapreso percorsi differenti. Mamoun è riuscito ad accreditarsi come imam impegnato con l’estremismo, scrivendo un “manuale di controffensiva” contro la radicalizzazione e diventando “il nuovo imam preferito dai media” sull’argomento. Kabir sembra quasi essersi eclissato dalla scena pubblica, mantenendo una presenza discreta sui social media.

D’altro canto, i cambiamenti d’immagine e le forme di collaborazione instaurate con le autorità non scalfiscono la memoria e la consapevolezza della vera natura di questi imam e del loro operato. L’indottrinamento fondamentalista è divenuto costitutivo dell’”islamismo sotterraneo” che agisce in maniera pervasiva sui “social media” e “invisibile… clandestina” sul territorio, alimentando il fenomeno del “comunitarismo”, anticamera della radicalizzazione. Gli imam salafiti hanno avuto successo nell’impedire l’integrazione di una parte significativa delle comunità musulmane di origine immigrata, specie la componente giovanile, per generare uno stato di conflitto sociale e culturale permanente con la più ampia comunità nazionale. Il terrorismo dell’ISIS, come punta dell’iceberg dell’islamismo, ha potuto pescare militanti e seguaci in questo ampio bacino, frutto di anni di predicazione estremista e oggi esteso in tutto il paese.

Imperturbata dai tragici eventi dell’ultimo quinquennio, la “grande strategia” del fondamentalismo è così andata avanti nel perseguimento dei propri obiettivi ed è in cima alle preoccupazioni delle istituzioni e della politica. Ma non basteranno certo commissioni parlamentari d’inchiesta per sconfiggere “Il pericolo salafita” una volta per tutte.

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