L’ANIMA E IL SANGUE DI TUTTI I MUSULMANI

Fawāz è salvo, Alhamdullilāh! A una settimana di distanza dalla scomparsa del piccolo Rayān in Marocco, c’è sollievo per la liberazione del bambino di 6 anni rapito più di 3 mesi fa nel distretto di Dar’ā in Siria. Un lungo strazio, a cui tuttavia non è corrisposto da parte della Ummah lo stesso livello di coinvolgimento collettivo che ha caratterizzato il caso di Rayān. I media hanno infatti trattato la vicenda solo saltuariamente, come fosse una notizia di cronaca qualunque, mentre sui vari “social” al confronto sono state molte poche le ʾadʿiyah rivolte all’Altissimo per le sorti di Fawāz, anche quando i sequestratori hanno inoltrato alla famiglia un video in cui il bambino compare nudo su un letto mentre si dimena impaurito a ogni colpo di cinghia.

“In nome di Allāh, non mi picchiate”, “in nome di Allāh, non mi picchiate”, pregava piangendo, senza però impietosire quei criminali senza scrupoli, nient’altro che marionette impazzite possedute da Shaytān. “Gli taglieremo un dito per ogni giorno che passa”, hanno minacciato se la famiglia non avesse consegnato il riscatto secondo la scadenza stabilita. Ciononostante, la notizia del video, coincisa con la morte di Rayān (che Allāh subhanahu wa ta’ala abbia pietà di lui), non ha avuto l’attenzione generale che avrebbe meritato né in tv, né sui giornali, né online, dove la mobilitazione c’è stata ma in misura estremamente limitata rispetto a quella che ha accompagnato l’intero svolgimento della tragedia avvenuta in Marocco.

Quanti di noi erano a conoscenza e si sono avventurati nella visione agghiacciante del filmato? Quanti di noi hanno seguito costantemente la vicenda di Fawāz, fin dall’inizio, ed erano informati in tempo reale della sua liberazione? Pochi, diciamoci la verità. E non sembra che il suo ritorno a casa nelle braccia dei genitori, dopo il pagamento del riscatto, abbia scaldato in misura significativa i cuori pulsanti della rete di internet. In quanti hanno espresso gioia e ringraziato Allāh subhanahu wa ta’ala per il lieto fine?

L’impressione è che non tutte le sofferenze che riguardano i musulmani siano considerate sullo stesso piano. Pertanto, hanno perfettamente ragione quei siriani che su Facebook, durante le dirette televisive trasmesse dal pozzo ormai famoso di Ighran, si sono lamentati di questa incongruenza, che non costituisce certo un esempio della Ummah Wāhida desiderata da Allāh subhanahu wa ta’ala, così come ce l’aveva lasciata il Profeta Muhammad ṣallāllāhu ʿalayhī wa-sallama.

“Anima e sangue”, ha scritto in particolare un giovane blogger siriano, “ce l’ha anche il piccolo Fawāz”, un innocente che ha avuto la morte di fronte a sé per oltre 3 mesi, vissuti tra privazioni e violenze, sia fisiche che psicologiche, senza i compatimenti della stragrande maggioranza dei musulmani. “Anima e sangue” ce l’hanno poi tutti i bambini in Siria, Yemen, Palestina, Afghanistan, India, Kashmir, Cina, Birmania, Filippine, Libia, Africa e ovunque nel mondo i musulmani si trovino ad affrontare persecuzioni, avversità e conflitti. E “anima e sangue” avevano gli innumerevoli bambini che sono morti per mano di regimi ostili o talvolta, troppo spesso, del fuoco amico degli stessi musulmani.

Ciò vale naturalmente per gli adulti, per le tante sorelle e per i tanti fratelli che sono protagonisti di storie di morte o anche di vita, ma di una vita dura che più dura non si può, trascorsa quotidianamente in mezzo a miseria, disperazione e ingiustizie.

Dov’è la nostra solidarietà islamica nei loro confronti? E il legame di fratellanza tra musulmani? Perché non li ricordiamo tutti i giorni nelle nostre invocazioni? Li abbiamo forse relegati nell’anticamera della nostra mente e del nostro cuore, come fossero un dato “freddo”, uno sfondo lontano che sta alle nostre spalle, per provare empatia e commuoverci solo davanti ai teleschermi di Al Jazeera? Così non va e dobbiamo rendercene conto, noi lo abbiamo fatto.

Scusami, tu non sei Rayān affinché simpatizzino con te, e nemmeno per menzionarti nelle loro preghiere. Tu non sei Rayān per ricordare loro che sono una nazione come sostengono di essere, sebbene Allāh ha dimostrato come per la maggioranza siano degli ipocriti, che il mio Signore abbia pietà di loro.

Che le parole severe del giovane blogger siriano, comprensibilmente indurito e amareggiato da oltre un decennio di guerra e soprusi ai danni della popolazione siriana, non vengano fraintese, come non venga frainteso il messaggio che qui intendiamo trasmettere.   

Nei giorni di solitudine e agonia, l’Altissimo era con Rayān e dolcemente lo ha portato via con sé. Sui Suoi disegni possiamo solo speculare, ma per prudenza è meglio non volare troppo con la fantasia, evitando di auto-convincerci di qualcosa che in realtà non è. Allāh a’alam. Ma se proviamo a cogliere un Suo segno, si potrebbe dire che il sacrificio di Rayān ha in effetti raccolto l’intera Ummah attorno a sé, fondendone l’anima e il sangue di nuovo in un corpo unico. Il sacrificio di cui Fawāz resterà testimone vivente, ci provoca invece nella nostra distrazione rispetto ai tanti mali che affliggono i musulmani e che ci trovano spesso non indifferenti, ma anestetizzati. La sofferenza che colpisce anche soltanto un punto della Ummah si ripercuote su tutti i musulmani e dovremmo essere in grado di sentirla sempre, non a seconda dei casi. Se questa è la lezione che ci è scesa dall’alto, accogliamola e non dimentichiamola più.

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