L’ISIS “RINASCE” MA PUÒ ESSERE SCONFITTO UNA VOLTA PER TUTTE

L’ISIS ha ricostituito le proprie forze in Siria e Iraq, ed è intenzionato a dare vita a una lunga guerra di “logoramento” estesa anche all’Africa e all’Asia, dove agiscono i suoi vari gruppi affiliati. Contemporaneamente, resta pronto a colpire l’Europa con nuovi attacchi terroristici. È questo l’allarme lanciato sui media da esperti e analisti, concordi nel parlare di una “rinascita” dell’ISIS dopo la caduta del presunto “Stato Islamico” nel 2018.

DALLA GUERRA CONVENZIONALE ALLA GUERRIGLIA
La macchina da guerra dell’ISIS è uscita considerevolmente ridimensionata dal conflitto. Senza contare i miliziani locali, varie stime concordano nel quantificare in circa 50 mila i “foreign fighters” che da oltre 80 paesi si sono recati in Siria e Iraq per unirsi ai ranghi dell’organizzazione terroristica. Oggi, invece, secondo fonti ONU, gli uomini su cui l’ISIS può contare ammonterebbero a 10 mila, sparsi in clandestinità tra Siria e Iraq, e privi degli armamenti e delle capacità militari di un tempo.

D’altro canto, il passaggio da uno stadio di conflittualità di tipo convenzionale all’insorgenza (o il ritorno a quest’ultima), fa sì che 10 mila uomini formino un considerevole esercito di guerriglieri, capace di operare attraverso imboscate e attacchi letali, come si è verificato nel corso degli ultimi mesi sia in territorio siriano che iracheno.

In Iraq, dallo scorso maggio, le forze di sicurezza governative sono impegnate in una battaglia quotidiana nei governatorati di Ninive (Mosul), Diyala, Kirkuk e Salahuddin, dove l’ISIS ha preso ripetutamente di mira la popolazione locale, compiendo estorsioni e altri crimini finalizzati all’autofinanziamento e alla diffusione del terrore. La “bonifica” di centinaia di villaggi ha condotto all’arresto di decine di miliziani, ma negli scontri altrettanti soldati sono rimasti uccisi.

Sul versante siriano, l’intensificazione dell’insorgenza dell’ISIS si è registrata a partire dai mesi estivi (23 attacchi a luglio, 39 ad agosto) nei governatorati di Homs, Deir Ez Zor, Raqqa, Hama e Aleppo, con oltre 70 vittime tra le forze di sicurezza governative. Mentre si aggrava sempre di più la situazione all’interno del campo profughi di Al Hol, che l’ISIS utilizza come centrale operativa e logistica, nonché come luogo d’incubazione dei suoi miliziani di domani, reclutati tra le migliaia di bambini e adolescenti che vi risiedono in condizione di estrema precarietà.

L’ordine di dare il via alla nuova fase dal punto di bellico è stato impartito dal fondatore dell’ISIS in persona, il sedicente “califfo” Abu Bakr Al Baghdadi, quando, ancora in vita, assisteva al graduale ma definitivo sradicamento del suo presunto “Stato Islamico”. La sconfitta richiedeva un repentino cambiamento di approccio per salvare quel che sarebbe restato dell’organizzazione terroristica, offrendo una prospettiva di continuità anche dal punto di vista ideologico e pseudo-religioso. Avviene così il lancio della “battaglia di attrito” o logoramento (istinzaf). Con un video di 18 minuti, Al Baghdadi ha esortato gli uomini rimasti sotto il suo comando ad attaccare i nemici “da ogni direzione”, “indebolendoli, sia fisicamente che moralmente. Economicamente, amministrativamente, in ogni cosa”. L’obiettivo è creare le condizioni per riassumere il controllo di uno spazio territoriale a cui riassegnare la denominazione di presunto “Stato Islamico”.

Al Baghdadi si è però trovato costretto a dover ridimensionare la propria retorica rispetto a quella utilizzata in precedenza, quando esaltava il presunto “Stato Islamico” come compimento di fantomatiche profezie e leggende millenaristiche. “La battaglia sarà lunga”, ha affermato, “continuerà fino al giorno della risurrezione”, rimuovendo in tal modo ogni orizzonte temporale e con esso anche la certezza di un esito finale favorevole, lasciata “escatologicamente“ nelle mani di Allāh (swt): “Dio ci ha ordinato il jihād, ma non ci ha ordinato la vittoria”.

La svolta “pragmatica” di Al Baghadi è frutto di una valutazione realistica delle mutate circostanze del conflitto, da cui va tuttavia escluso ogni intento di procedere a una “de-escalation” nel ricorso alla violenza. L’enfasi sull’uccisione degli “infedeli” e sul “martirio”, ovvero sugli attentati suicidi, prosegue invariata, di pari passo alla distorsione estremista e guerrafondaia del significato originario di Jihād: da “sforzo” di perfezionamento spirituale e interiore a cui è chiamato ogni musulmano, allo “sforzo” dell’ISIS volto a distruggere l’Islām (nella sua essenza di religione di pace, dialogo, riconciliazione) e l’intero genere umano.

PRUDENZA E VIOLENZA
Una più ampia “concettualizzazione della guerriglia” lanciata dall’ISIS, è stata formulata in un editoriale del magazine settimanale Al Naba’, n. 236, diffuso online lo scorso 28 maggio, mese dell’intensificazione dell’insorgenza in territorio iracheno, seguito da quella in territorio siriano durante l’estate. L’editoriale si rivolge in generale ai miliziani dislocati ovunque nel mondo, dall’Africa occidentale al sub-continente indiano fino al sud-est asiatico, aree che non a caso stanno subendo una recrudescenza di attacchi terroristici da parte di gruppi affiliati all’ISIS, rafforzati nei ranghi dai “foreign fighters” che hanno lasciato Siria e Iraq.

Le prescrizioni fornite dagli strateghi dell’ISIS non si discostano dalle tecniche della guerriglia tradizionale, ma s’inseriscono in un nuovo quadro narrativo caratterizzato dalla prospettiva del “lungo jihād” già lanciato da Al Baghdadi. Nel testo, si trovano inoltre disseminate citazioni coraniche (adeguatamente strumentalizzate per l’occasione), nonché aforismi attribuiti a imam estremisti sulla condotta da tenere in guerra.

Nelle aree dove gli “infedeli” hanno stabilito il loro “dominio”, lo “stile di guerriglia mordi e fuggi è quello più appropriato”, dice l’editoriale, ma attenzione a non sprecare uomini e risorse. I richiami alla prudenza e a non affrettarsi nelle manovre si ripetono più volte:

[I mujāhidīn] non hanno bisogno di sforzarsi oltre le loro capacità e di mantenere il controllo del territorio quando sono pochi e il loro nemico è più grande di centinaia o migliaia di volte.

[I mujāhidīn] all’inizio non hanno il compito di mantenere il controllo del territorio, perché questo è al di là delle loro capacità. Né [hanno il compito di] mantenere la loro posizione contro il nemico in battaglie in cui pensano di non avere superiorità.

[I mujāhidīn devono] concentrare i propri sforzi nel causare le maggiori perdite possibili al nemico, in termini di vite e ricchezza; mentre sono diligenti a offrire il minimo possibile di perdite, in termini di vite e ricchezza.

In questa fase, i soldati dello “Stato Islamico” devono concentrarsi nel creare “attrito” con il nemico il più possibile e non devono preoccuparsi di affrettare la realizzazione del “tamkin” [controllo territoriale e amministrativo] su un’area.

Ma cosa s’intende esattamente per “attrito”? Ecco la spiegazione offerta direttamente dagli strateghi dell’ISIS, all’insegna della massima violenza:

Con “logoramento” non intendiamo semplicemente indebolire il nemico fino a quando non lo costringiamo a ritirarsi da un territorio, in modo da poterlo conquistare e “goderci” il tamkin. Piuttosto, miriamo a spingere [il nemico] o ad uno stato in cui la sua emorragia lo conduce alla distruzione, o ad esaurirlo a un punto tale che può solo raccogliere la forza per sollevarsi e combatterci di nuovo dopo molto tempo, durante il quale ci siamo preparati a respingerlo e a distruggerlo. [Puntiamo a] seminare nel suo cuore e nella sua mente disperazione e perdita di ogni speranza nella vittoria, così che veda la nostra vittoria su di lui come un fatto compiuto in ogni possibile battaglia, qualcosa di inevitabile.

Con il “nemico che si indebolisce”, e i miliziani dell’ISIS che “diventano più forti”, torneranno “le condizioni appropriate per la transizione dallo stadio della guerriglia agli altri stadi necessari a realizzare il tamkin”.

ANTI-TERRORISMO E PREVENZIONE DELLA RADICALIZZAZIONE
Non si può escludere a priori la possibilità che emergano in futuro le condizioni perché l’ISIS riesca a farsi nuovamente “stato”, riempiendo con la propria “sovranità” eventuali vuoti geopolitici e di potere in un dato territorio, come accaduto tra Siria e Iraq a partire dalla metà del 2014. Tuttavia, la consapevolezza dell’improbabilità che ciò possa verificarsi, quanto meno nel lungo periodo prevedibile, è ben presente anche ai vertici dell’organizzazione terroristica oggi guidata da Abu Ibrahim Al Hashimi Al Qurayshi.

Di qui, l’insistenza degli “strateghi” dell’ISIS sul contenimento delle perdite, nonché sulla necessità di evitare mosse azzardate indotte dall’entusiasmo a seguito di sviluppi favorevoli. Quella dell’ISIS è una battaglia lunga tutta la storia e ai miliziani va pertanto infusa la necessaria “pazienza” strategica, alimentandola costantemente nelle motivazioni attraverso il culto della “morte”, del “martirio” (compresi gli attentati “suicidi” stragisti), della “bellezza” dell’uccidere brutalmente il nemico infliggendogli indicibili sofferenze.

La “vittoria” finale, ovvero l’instaurazione di uno “Stato Islamico” comprendente l’intero globo terracqueo, dipende dalla volontà di Allāh (swt), e su di essa nessuno, neppure l’ISIS (da quando ha perso il suo “califfato” del terrore in Siria e Iraq), può avere certezza. Ciononostante, in esecuzione di un presunto comando divino, i mujāhidīn hanno il compito di combattere fino alla fine dei tempi contro il “nemico”, identificato in primo luogo nella stragrande maggioranza dei musulmani, considerati “apostati” perché non aderiscono alla visione estremista propagandata dall’ISIS, e poi negli “infedeli” non-musulmani.

I “teologi” a dir poco dogmatici dell’ISIS preferiscono evidentemente continuare a sorvolare su uno dei più importanti Hadīth del Profeta Muhammad (saw), che recita: “Il mujāhid è colui che combatte contro se stesso”. Così dicendo, il Profeta (saw) ha voluto chiaramente indicare a tutti i musulmani che il campo dove hanno il dovere di scendere in battaglia per il Jihād è quello spirituale, lungo il percorso che li riconduce alla perfezione di Allāh (swt). È questa la battaglia da vincere per la “salvezza” eterna dopo la resurrezione.

D’altro canto, se errare è umano e perseverare diabolico, l’ISIS non intende in alcun modo smettere d’incarnare la (con)fusione, totalmente anti-islamica dal punto di vista teologico e dottrinario, tra la battaglia interna all’individuo per il suo perfezionamento spirituale e una visione iper-ideologizzata della religione e della storia che prevede lo sterminio (o il soggiogamento) di tutto ciò che ad essa non è conforme. Che fare?

I tempi indefinitamente lunghi della guerra di “logoramento” implicano la persistenza della minaccia terroristica ovunque nel mondo, Europa e Italia comprese, dove l’ISIS opera non con la guerriglia, ma per il tramite di cellule dormienti e “lupi solitari”. Lavoro permanente, dunque, per l’anti-terrorismo e per la prevenzione del fenomeno della radicalizzazione, sia online che in contesti non virtuali.

Su quest’ultimo fronte, occorre moltiplicare gli sforzi per la promozione di una corretta informazione sull’Islam e sul messaggio che Allāh (swt) ha inteso divulgare all’umanità attraverso il suo ultimo Profeta Muhammad (saw), gettando luce sulle evidenti distorsioni operate dal “discorso” estremista dell’ISIS. È questa la via da seguire per contrastare efficacemente la propaganda manipolatoria e le narrative prive di fondamento diffuse dall’organizzazione terroristica.

Colpito nella fase cruciale dell’indottrinamento e del reclutamento di nuovi seguaci, a deperire per “logoramento” sarà lo stesso ISIS e una volta per tutte.

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