ITALIA, L’INGANNO DELL’ESTREMISMO COLPISCE I GIOVANI CONVERTITI

Radicalizzato e radicalizzatore: è questo il profilo di Nicola Ferrara, il 38enne arrestato lo scorso 8 luglio nella notte dai carabinieri del Ros e del Comando Provinciale di Milano, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per “istigazione a delinquere aggravata dall’uso del mezzo telematico”, con l’aggravante della finalità di terrorismo internazionale. Nato il 12 maggio 1982 a Canosa di Puglia e residente nel capoluogo lombardo, “Issa”, come aveva scelto di farsi chiamare da convertito, era impegnato in un’intensa attività di proselitismo volto alla diffusione del credo e dell’ideologia del sedicente “Stato Islamico”, esaltando le gesta dell’ISIS in Siria, Iraq e negli altri teatri del terrorismo in chiave apologetica e istigando i propri interlocutori a unirsi alla guerra globale contro i “miscredenti”. In un’intercettazione del 25 marzo, ha affermato che il Coronavirus “è un dono di Allāh, una cosa positiva”, perché “la gente sta impazzendo” e per gli infedeli “tutto l’haram adesso è difficile farlo”, ossia sono stati tolti loro i “vizi”, come bere e stare in compagnia.

PROSELITISMO ONLINE E VIOLENZA
Secondo quanto riferito dal pm Alberto Nobili, che ha lavorato all’indagine con i colleghi Piero Basilone e Leonardo Lesti, Nicola Ferrara era “uno degli esponenti più capaci” nel mondo dell’estremismo in Italia, un personaggio molto conosciuto, “di assoluto rilievo”, che “sapeva muoversi con abilità straordinaria sul web”. Una persona “capace di trasmettere soprattutto ai giovani quei messaggi che l’ISIS da anni tende a divulgare per far sì che chiunque li senta, uomo o donna che sia”, possa sentirsi spinto ad agire, a fare qualcosa, fino a compiere atti di terrorismo.

Su Facebook, Ferrara contava “oltre 2mila amici” e, nei suoi post, utilizzava un linguaggio “crudele e feroce”, con parole e frasi come “sgozzare, tagliare la testa, sparare ai miscredenti”. Ferrara, inoltre, diffondeva immagini di Bin Laden, delle Torri Gemelle, del presunto “califfo” Al Bagdadi, di foreign fighters e di “martiri” dell’ISIS, di donne con il mitra in mano e di bambini armati che giurano di uccidere i “miscredenti”. Nella collezione non mancavano neppure immagini di bambini morti, come stimolo per sensibilizzare al martirio i più giovani, maggiormente vulnerabili all’indottrinamento e alla propaganda estremista.

I post che pubblicava erano prevalentemente in italiano mentre alcuni, in arabo, lingua che stava imparando, li recuperava e rilanciava. Ciononostante, Facebook non ha mai segnalato o bloccato l’account ed è intervenuta, come ha spiegato il pm Nobili, “solo dopo le nostre insistenti richieste”. La piattaforma Soundcloud, invece, la usava per ascoltare brani nei quali risuonavano parole di questo genere: “Il miscredente è renitente. Versate il sangue della sua giugulare”.

La passione per la musica la esprimeva anche attraverso i ‘nashīd’, poesie salmodiate tipiche della tradizione musulmana, ritrovate in gran numero in un hard disk sequestrato nel suo appartamento, insieme a 10 telefoni cellulari, due pc e diversi tablet. I ‘nashīd’ che Ferrara era solito ascoltare contenevano però versi inquietanti, in pieno stile ISIS, che recitavano: “Avanza fratello, avanza verso la morte, tu che sei coraggioso. Vieni e indossa una carica esplosiva, accorri ed esplodi, così la morte è migliore ed è migliore il destino”.

PROSELITISMO IN MOSCHEA E DISSIMULAZIONE
All’attivismo e alla militanza “virtuali”, Ferrara faceva corrispondere un fervore proselitista “ossessivo” anche nella vita “reale”, frequentando assiduamente la moschea di via Carissimi a Milano, un luogo di culto abusivo gestito dall’associazione Al Nur, rappresentativa della frangia fondamentalista della comunità bengalese locale, già da tempo sotto osservazione da parte dell’antiterrorismo. All’interno del centro, Ferrara s’interfacciava principalmente con giovani che iniziavano un percorso simile al suo ed erano quindi facilmente influenzabili dalle “tesi estremiste” che Ferrara stesso gli impartiva. I giovani venivano adescati da Ferrara anche al di fuori della moschea e poi indotti ad intraprendere la via della radicalizzazione.

Il tenente colonnello Andrea Leo, che guida il Reparto operativo speciale dei carabinieri coinvolto nelle indagini, ha parlato in particolare di “quattro, cinque ragazzini, anche minori, prevalentemente italiani convertiti”. Queste le parole rivolte da Ferrara a un ragazzo di 17 anni che frequentava l’associazione Al Nur: “Siamo noi che dobbiamo lottare contro queste persone qua, loro non vogliono che tu adori Allāh”.

Un concetto su cui Ferrara insisteva molto nell’indottrinamento era quello della taqiyya, la pratica della dissimulazione della propria fede radicale, passando dall’ostentazione della veste araba al ritorno ai vestiti occidentali e svolgendo attività lavorative saltuarie che non destassero sospetti, ad esempio presso sale giochi e un parcheggio a pagamento di Milano. In un’intercettazione, Ferrara è stato colto mentre raccomandava all’interlocutore, vittima di turno: “Fuori devi mostrare il sorriso mentre dentro li maledici”, con riferimento ai “miscredenti occidentali”.

IL PERCORSO DI RADICALIZZAZIONE E LA RETE ESTREMISTA
Secondo la ricostruzione degli investigatori, Ferrara si era trasferito a Milano nel 2011 e nel 2015 aveva raggiunto un livello di “radicalizzazione estrema”, come confermato da intercettazioni e pedinamenti condotti dal Ros.

Anche prima di recarsi nel capoluogo lombardo, Ferrara aveva svolto lavori saltuari (cooperative agricole e logistiche, sale gioco e sussidi di disoccupazione nei periodi di inattività), oltre a vantare un piccolo precedente amministrativo per stupefacenti. Tra il 2001 e il 2002, dopo il servizio di leva nell’aeronautica militare e la ferma volontaria nei “Lancieri di Montebello”, partecipa alla missione italiana di peace-keeping in Albania.

A convertirlo e radicalizzarlo – come emerso nell’indagine e per stessa ammissione di Ferrara– è stato Ghassen Hammami, attualmente detenuto nel carcere di Rossano Calabro (Cosenza) e arrestato nell’ambito di un’indagine dei pm di Perugia perché propagandava il sedicente “Stato Islamico”, istigando a compiere atti di terrorismo in Italia. È stato Hammami, scrive il gip, a trasformare una persona “anonima” in un “radicalizzatore mascherato da sapiente”. Nel 2017, tra i due è intercorso un rapporto epistolare, ma non solo: Ferrari ha infatti inviato ad Hammami circa 400 euro per la sua sussistenza in carcere.

Sotto la lente degli inquirenti, sono finiti anche i viaggi all’estero effettuati da Hammami tra il 2018 e 2019 in due mete non certo casuali: Qatar (due volte) e Arabia Saudita. “Il suo obiettivo – ha spiegato il comandante dei Ros – era imparare la lingua, approfondire l’indottrinamento e trovare un modo per raggiungere l’Afghanistan”. In un’intercettazione, Ferrara dichiarava infatti di “voler andare in Afghanistan, da dove vengono i Pashtun”, per vivere secondo i dettami del fondamentalismo.

Ferrara, inoltre, stava organizzando il suo matrimonio con una donna conosciuta proprio durante la sua permanenza in Arabia Saudita, la quale sarebbe dovuta venire in Italia per completare le pratiche burocratiche nei prossimi mesi.

I Ros sono poi riusciti a ricostruire la rete di rapporti che Ferrara intratteneva con personaggi coinvolti in indagini anti-terrorismo, come El Madhi Halili, condannato a Torino per associazione con finalità terroristiche, “perché pubblicava video e materiali riferibili allo sceicco Abou Muhammad Al Adnani, riportando particolari degli attentati di Parigi e Bruxelles”.

Nell’ordinanza vengono messi in evidenza anche i contatti di Ferrara con altri soggetti espulsi dall’Italia per reati connessi al terrorismo e con l’italiano convertito Mario Cavallaro, indagato durante l’indagine “Bad Teacher” relativa al centro culturale Al Dawa di Foggia.

MESSAGGIO PER I CONVERTITI
“In questi anni abbiamo notato che quando gli italiani si radicalizzano all’Islām, paradossalmente diventano soggetti più pericolosi e feroci degli islamisti”, ha spiegato il pm Nobili, affrontando la questione dei convertiti e della loro propensione a restare vittima dell’indottrinamento e della radicalizzazione da parte dell’estremismo. Una propensione dovuta ad aspetti psicologici ed emozionali.

Il convertito, in generale, tende a vivere la sua nuova fede religiosa in maniera particolarmente intensa e coinvolgente, ma se privo di una solida struttura razionale e culturale può non disporre di una sufficiente capacità di filtrare adeguatamente le tesi, le interpretazioni, i messaggi e i modelli comportamentali che gli vengono trasmessi. È qui che ne approfitta l’estremismo, come nel caso di Nicola Ferrari e di tanti altri giovani in Italia, Europa, Medio Oriente e nel resto del mondo.

Con l’arresto di Ferrara, “non abbiamo solo protetto la nostra società, ma abbiamo anche protetto lui da se stesso, visto che gli abbiamo regalato una nuova opportunità per capire la strada che stava prendendo”, ha affermato il maggiore del Ros Federico Palmieri, comandante della terza sezione del reparto operativo speciale.

Un messaggio questo rivolto a tutti coloro che, specie tra le nuove generazioni, abbracciano l’Islām, affinché siano consapevoli del rischio di venire a contatto con realtà e soggetti radicali, intenzionati a deviarne il percorso religioso legittimamente intrapreso, fino a cadere – come accaduto a Nicola Ferrari – nell’inganno dell’ISIS, di Al Qāʿida e dei predicatori dell’estremismo.

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